mercoledì 2 novembre 2016

UN "BEL CAPOLAVORO"



Riceviamo e pubblichiamo volentieri la riflessione di Franco Osculati della nostra sezione  che ben illustra uno dei passaggi della de-forma della Costituzione e individua limpidamente alcune delle ragioni che presiedono la scelta per il NO della nostra organizzazione.
"Nella riforma costituzionale sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre compare, tra altri difetti, un aspetto del tutto paradossale. La riforma concentra il potere a Roma, riducendo il ruolo delle Regioni e prevedendo un nuovo Senato che non sarà in grado di rappresentare adeguatamente le autonomie locali.
Fanno però eccezione le Regioni a statuto speciale; si conferma l’attuale assetto delle loro competenze e si aggiunge un tanto alla loro forza di interdizione.Dalle Regioni a statuto speciale transitano circa 40 miliardi di spesa pubblica, pari al 23% della spesa di tutte le Regioni, mentre la popolazione delle cinque Regioni ad autonomia differenziata è attorno al 15% della popolazione italiana. La differenza tra queste due percentuali può essere giustificata (in tutto o in parte) in relazione a Sicilia e Sardegna che insieme hanno 6,7 milioni di abitanti e che godono di un reddito pro capite  inferiore alla media nazionale. La differenza lascia perplessi riguardo a Friuli, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che insieme sommano 2,4 milioni di abitanti mediamente più ricchi dell’italiano medio, sebbene le Province di Bolzano e Trento si paghino la scuola (altrove spesa statale). Ulteriori dati segnalano l’esistenza di altri innegabili squilibri. In particolare il numero dei dipendenti delle cinque Regioni speciali è uguale a quello di tutte le altre quindici Regioni. Il Trentino Alto Adige ha tre volte i dipendenti della Lombardia, circa 3.100, mentre la Sicilia ne ha più di 17.300. Ultimamente, nelle strette della crisi, anche le Regioni non ordinarie sono state chiamate a concorrere ai rigorosi obiettivi di finanza pubblica discendenti dal fiscal compact, ma sempre attraverso faticosi e poco noti  accordi tra Stato e singoli governi regionali. Ad oggi, comunque, con l’eccezione della Sicilia il monitoraggio ministeriale sulla spesa sanitaria, di gran lunga la voce di maggior impegno, non si estende alle Regioni a statuto speciale.Queste, nel loro complesso, integrano un panorama di complessità e, talora, di privilegio che stona sia con i principi di uguaglianza dei cittadini, sia con in vincoli europei. Non a caso, la Corte dei conti, in  un suo documento del 2015 affermava che “anche il comparto delle autonomie speciali non può essere affrancato dal principio del coordinamento della finanza pubblica”.Gli statuti delle Regioni a statuto speciale sono norme di rango costituzionale. Se c’è una parte del nostro sistema costituzionale che ha fatto il suo tempo, questa è per l’appunto la parte di tali Regioni. Non si tratta di negare specificità come il fabbisogno aggiuntivo di trasporti e collegamenti della Sardegna o come il fabbisogno culturale e formativo legato alle diverse culture linguistiche. Occorre invece evitare che permangano prerogative ingiustificate. La modifica del Titolo V avrebbe potuto e dovuto essere la sede in cui affrontare e aggiornare l’intera tematica.E invece il nuovo Titolo V della “Riforma Boschi” lascia tutto questo intatto, anche la vituperata (dagli odierni improvvisati riformatori) “legislazione concorrente” che rimane in capo alle Regioni speciali. C’è però un’aggravante. Infatti è previsto (art. 39, comma 13) che si potrà cambiare ma “sulla base di intese con le medesime Regioni”. Dato che i mutamenti necessari, per le Regioni speciali, sono peggiorativi rispetto alla situazione attuale c’è poco da sperare in un rapido miglioramento. Ad ogni modo, “intese” tra lo Stato e una delle sue Regioni? Intese suona come “trattati”. E’ come portarsi in casa la politica estera, ovvero complicazioni a non finire. Un bel capolavoro.

Nessun commento:

Posta un commento