Riceviamo e pubblichiamo volentieri la riflessione di Franco Osculati della nostra sezione che ben illustra uno dei passaggi della de-forma della Costituzione e individua limpidamente alcune delle ragioni che presiedono la scelta per il NO della nostra organizzazione.
"Nella riforma costituzionale
sulla quale saremo chiamati ad esprimerci il 4 dicembre compare, tra altri
difetti, un aspetto del tutto paradossale. La riforma concentra il potere a
Roma, riducendo il ruolo delle Regioni e prevedendo un nuovo Senato che non
sarà in grado di rappresentare adeguatamente le autonomie locali.
Fanno però
eccezione le Regioni a statuto speciale; si conferma l’attuale assetto delle
loro competenze e si aggiunge un tanto alla loro forza di interdizione.Dalle Regioni a statuto speciale
transitano circa 40 miliardi di spesa pubblica, pari al 23% della spesa di
tutte le Regioni, mentre la popolazione delle cinque Regioni ad autonomia
differenziata è attorno al 15% della popolazione italiana. La differenza tra
queste due percentuali può essere giustificata (in tutto o in parte) in
relazione a Sicilia e Sardegna che insieme hanno 6,7 milioni di abitanti e che
godono di un reddito pro capite
inferiore alla media nazionale. La differenza lascia perplessi riguardo
a Friuli, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta, che insieme sommano 2,4 milioni
di abitanti mediamente più ricchi dell’italiano medio, sebbene le Province di Bolzano
e Trento si paghino la scuola (altrove spesa statale). Ulteriori dati segnalano
l’esistenza di altri innegabili squilibri. In particolare il numero dei
dipendenti delle cinque Regioni speciali è uguale a quello di tutte le altre
quindici Regioni. Il Trentino Alto Adige ha tre volte i dipendenti della
Lombardia, circa 3.100, mentre la Sicilia ne ha più di 17.300. Ultimamente, nelle strette della
crisi, anche le Regioni non ordinarie sono state chiamate a concorrere ai
rigorosi obiettivi di finanza pubblica discendenti dal fiscal compact, ma sempre attraverso faticosi e poco noti accordi tra Stato e singoli governi regionali.
Ad oggi, comunque, con l’eccezione della Sicilia il monitoraggio ministeriale
sulla spesa sanitaria, di gran lunga la voce di maggior impegno, non si estende
alle Regioni a statuto speciale.Queste, nel loro complesso,
integrano un panorama di complessità e, talora, di privilegio che stona sia con
i principi di uguaglianza dei cittadini, sia con in vincoli europei. Non a caso,
la Corte dei conti, in un suo documento
del 2015 affermava che “anche il comparto delle autonomie speciali non può
essere affrancato dal principio del coordinamento della finanza pubblica”.Gli statuti delle Regioni a
statuto speciale sono norme di rango costituzionale. Se c’è una parte del
nostro sistema costituzionale che ha fatto il suo tempo, questa è per l’appunto
la parte di tali Regioni. Non si tratta di negare specificità come il
fabbisogno aggiuntivo di trasporti e collegamenti della Sardegna o come il
fabbisogno culturale e formativo legato alle diverse culture linguistiche.
Occorre invece evitare che permangano prerogative ingiustificate. La modifica
del Titolo V avrebbe potuto e dovuto essere la sede in cui affrontare e
aggiornare l’intera tematica.E invece il nuovo Titolo V della
“Riforma Boschi” lascia tutto questo intatto, anche la vituperata (dagli
odierni improvvisati riformatori) “legislazione concorrente” che rimane in capo
alle Regioni speciali. C’è però un’aggravante. Infatti è previsto (art. 39,
comma 13) che si potrà cambiare ma “sulla base di intese con le medesime
Regioni”. Dato che i mutamenti necessari, per le Regioni speciali, sono
peggiorativi rispetto alla situazione attuale c’è poco da sperare in un rapido
miglioramento. Ad ogni modo, “intese” tra lo Stato e una delle sue Regioni?
Intese suona come “trattati”. E’ come portarsi in casa la politica estera,
ovvero complicazioni a non finire. Un bel capolavoro.
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