ONORINA PESCE BRAMBILLA



Perché la nostra sezione ANPI ha scelto di intitolare la propria sede a Onorina Brambilla? Perché ci siamo innamorati della sua storia, del suo coraggio, e della intransigenza  che ha saputo mantenere fino all’ultimo giorno della sua vita.

Nella lotta partigiana, gli uomini si chiamano spesso Tundra, Lupo Rosso, Intrepido, Falco, Mitra, Lampo.
Onorina per sè sceglie invece un nome comune, per nulla epico.
Si chiamerà Sandra. Quasi a smentire la modestia del suo nome di battaglia, sarà insignita del Riconoscimento di partigiana combattente, con il grado di sottotente, del Certificato di patriota del Comando Alleato, della Croce al merito di guerra al Valor partigiano, e nel 2008 della Medaglia d’oro di Benemerenza del Comune di Milano.
Con il nome di Sandra, Onorina, vent’anni compiuti nell’estate cruciale del 1943, a piedi o in bicicletta percorre instancabile le strade di Milano.
Nell’organizzazione clandestina III GAP «Egisto Rubini», il suo compito è garantire il rapido passaggio delle comunicazioni partigiane, badando alla segretezza, alla completezza, e alla puntualità di ogni messaggio. Ogni ritardo e ogni imprecisione significano la cattura o la morte di un partigiano.
Onorina non trasporta soltanto messaggi. Consegna le armi ai gappisti, le riconsegna al Comando, le nasconde dopo le azioni, porta a destinazione i pacchetti di esplosivo, e nel giugno ’44 sarà lei l’agente di collegamento tra partigiani gappisti e ferrovieri della stazione Greco, quando 14 ordigni, piazzati nei forni di combustione delle locomotive, esploderanno nella cosidetta “Battaglia dei Binari”, citata anche da Radio Londra come operazione coraggiosa e esemplare.
La sua bicicletta azzurra passa accanto alle pattuglie nazifasciste, il suo passo sfiora i soldati tedeschi, la sua faccia giovane non tradisce nulla, ma il suo cuore – confesserà anni dopo in una intervista per l’Enciclopedia delle Donne – batte fortissimo di ansia e paura.
Onorina, ragazza di famiglia proletaria ed antifascista, nata in una casa di ringhiera nel quartiere operaio di Lambrate, avrebbe voluto arruolarsi tra i partigiani della montagna, schierarsi a viso aperto contro gli occupanti tedeschi e contro i fascisti, i nemici di sempre che, negli anni ’30, avevano fatto licenziare suo padre, colpevole di non essersi tesserato al PNF. Onorina vorrebbe combattere con i Garibaldini e continuare così la lotta già iniziata nei Gruppi di Difesa della donna, che, a Milano, mobilita centinaia e centinaia di ragazze e di donne nella diffusione della stampa e nell’attività di sostegno alle prime bande della montagna.
La Resistenza ha deciso diversamente. «Mi fecero la proposta –dichiarerà in una intervista anni dopo – di entrare in una formazione armata clandestina».
L’organizzazione si chiama GAP (Gruppi di Azione Partigiana). In essa ogni componente vive l’esperienza durissima della clandestinità e dell’isolamento nella realtà urbana dove il rischio è altissimo, i rastrellamenti continui, e ogni faccia può essere quella di una spia.
Onorina accetta di diventare gappista. La scelta partigiana spezza ogni altro legame.  Nel marzo del ’44 Onorina deve lasciare il lavoro, gli studi di inglese al Circolo Filologico di Via Clerici e la biblioteca del Circolo dove aveva scoperto ed amato alcuni libri vietati dalla censura fascista.
Diventa Ufficiale di Collegamento del III Gap (l’equivalente del grado di sottotenente dell’esercito) Impara a vincere la paura e a non cedere alla pietà. «C'erano le rappresaglie ma, cosa avremmo dovuto fare? Smettere la lotta? In ogni caso i nazifascisti non avrebbero cessato di fare quello che facevano. Non ho mai provato pena per chi colpivamo. La guerra non l'avevamo voluta noi. Loro ogni giorno fucilavano, deportavano, torturavano”.
Sarà tradita dalla spiata di un traditore, Giovanni Iannelli, e consegnata ai nazisti il 12 settembre 1944. Sarà portata a Monza, in cella di isolamento per sessanta giorni. Brutalmente picchiata, resisterà senza pronunciare un solo nome.  Insieme ad altri detenuti politici, sarà deportata nel campo di concentramento di Bolzano, destinata al blocco F, e marchiata con il numero di matricola 6087. «Arrivammo al campo di concentramento di Bolzano il 12 novembre 1944. Fu in quella livida domenica mattina che per la prima volta vidi un campo di prigionia: le baracche, i prigionieri, le mura, i reticolati, le sentinelle sulle piazzole di guardia. Calci colpi di randello, frustate, accompagnati da urla terribili ci venivano inflitti per i più futili motivi. Guai a non osservare la brutale disciplina. Le punizioni avvenivano non solo nei blocchi, a volte si veniva portati nella palazzina del Comando, o nelle celle di punizione, che erano stanzette di cemento, buie e gelate.».
Onorina non sarà con i partigiani il 25 aprile. A fine aprile ’45, è ancora in marcia con un gruppo di ex prigionieri del campo sul passo della Mendola, la Val di Non e il Tonale. Arriverà a Milano il 7 maggio 1945.
Onorina e Giovanni Pesce

Scende dal tram n. 7. E’ Lambrate. Casa sua.
Per Onorina e il suo compagno Giovanni Pesce, nome di battaglia Visone, Comandante del III GAP, comincia un’altra storia.

Onorina Brambilla Pesce è stata Responsabile della Commissione femminile dell'ANPI, Presidente dell'Associazione ex perseguitati politici italiani antifascisti per la sede di Milano e Presidente onorario A.I.C.V.A.S., l'Associazione Italiana Combattenti Volontari Antifascisti di Spagna.

In una delle sue ultime interviste ha dichiarato : «Si vuole falsificare la Resistenza, lo chiamano revisionismo ma spesso è falsificazione della storia. Noi siamo stati impegnati per tutta la vita per difendere la libertà, oggi ho 87 anni e quando cala il sole chiudo le persiane perché non amo il buio della notte...»