Pubblichiamo l'intervento di apertura alla iniziativa ANPI " Gorizia tu sei maledetta" 5 novembre 2016 Camera del Lavoro) di Annalisa Alessio - direttivo ANPI Pavia. Presenti rappresentanze istituzionali e l'on. Scanu, sulla cui proposta di legge interverremo in seguito.
"Anno 1964. Festival dei due mondi. Spoleto. E’ in corso uno spettacolo
musicale. Si chiama Bella Ciao. Quando sul palco risuonano le prime note di
Gorizia – teatro del massacro dei 50.000 soldati italiani, e dei 40.000 soldati
degli imperi centrali 10 agosto 1916 – qualche bisbiglio scandalizzato rompe il
ritmo. Michele Straniero continua a cantare. I bisbigli trasmutano in
parapiglia. Nei giorni successivi gruppi fascisti tentano di interrompere il
canto di Gorizia. Fine Festival: gli esponenti del gruppo Nuovo Canzoniere
Italiano vengono denunciati per vilipendio alle forze armate.
Anno 2015. Massa Carrara. E’ in corso la commemorazione della vittoria 1918. Parla il sindaco che dice “siamo qui in piazza Gramsci, che tutti però chiamano piazza d’Armi, quindi siamo ben lieti di ospitare la cerimonia”. Una signora interrompe il rituale e intona Gorizia. Si chiama Soledad Nicolazzi; è una cantante e una attrice. Tre rappresentanti delle forze dell’ordine intervengono e allontanano la signora dalla piazza. (cit. Il Tirreno 8 novembre 2015).
Anno 2015. Massa Carrara. E’ in corso la commemorazione della vittoria 1918. Parla il sindaco che dice “siamo qui in piazza Gramsci, che tutti però chiamano piazza d’Armi, quindi siamo ben lieti di ospitare la cerimonia”. Una signora interrompe il rituale e intona Gorizia. Si chiama Soledad Nicolazzi; è una cantante e una attrice. Tre rappresentanti delle forze dell’ordine intervengono e allontanano la signora dalla piazza. (cit. Il Tirreno 8 novembre 2015).
Noi abbiamo scelto questa canzone perché riteniamo il suo testo coerente
con la scelta della sezione ANPI Onorina Pesce di non partecipare alle
commemorazioni ufficiali della grande guerra. Con questa iniziativa vogliamo
tornare ad essa con una memoria libera sottratta alla mistica nazionale e al
presunto mito redentore di Vittorio Veneto.
Cosa rende “sovversiva” questa canzone?
Forse il fatto che essa dà
parole al taciuto della grande guerra e disvela l’inganno collettivo del suo
ricordo.
Già il verso d’apertura “sotto l’acqua che cadeva a rovesci” dilava
via “l’inconscio accordo” ( cit.
Monticone Forcella ) di intere generazioni avvezze a specchiarsi nella liturgia
della grande guerra come punto di unione della nazione – anche Ciampi nel 2005
definì il IV novembre come “giorno della memoria comune” degli italiani -
Mentre i versi successivi “qua si muore gridando assassini”
denunciano il ricatto patriottico, strappano la maschera di paterna guida
disegnata sul volto dei Generali, il passaggio finale “questa guerra ci insegna a punir” chiama anzi ad una resa dei
conti contro Stati maggiori e classe dirigente la truppa, non quella
immaginaria nella edulcorata immagine della copertina della Domenica del
Corriere, ma quella autentica “ “trascinata
per la gola e troppo spesso portata avanti fino alla morte dagli spettri della polizia militare e dei plotoni di
esecuzione”. ( Forcella Monticone Plotone di esecuzione – i processi nella
prima guerra mondiale ed Laterza) .
Gorizia è il testo che impone di
guardare la grande guerra per quella che è stata.
Non guerra di patriottica difesa, cui un grande romanzo popolare prima o
dopo avrebbe dato parole sulle quali piangere o riflettere, come avviene in
America con Addio alle Armi. Un romanzo del genere in Italia non è mai stato
scritto: perché al posto di una narrazione collettiva la grande guerra e la sua
memoria partorirono l’arditismo fascista e la dittatura.
Guerra di aggressione, decisa con un colpo di stato “bianco”, avvallata
in stanze segrete, legittimata ad insaputa al Parlamento messo davanti al fatto
compiuto, trasmutata in eroico idillio nazionale, in realtà nido generatore
delle condizioni per la nascita della dittatura:
l’autoritarismo dell’esecutivo, la prevaricazione della legittimità
democratica, il livore antipopolare degli Stati Maggiori militari e dei corpi
dello Stato, il graduale costituirsi di un blocco sociale eterogeneo tra la
piccola borghesia cittadina impaurita dal pericoloso rosso e i profitti
dell’industria pesante ammantatasi delle parole patria e onore, sprigionanti un
venefico contagio anche tra gli esclusi da ogni profitto, definiscono già
leggibili i tratti del fascismo che prende le mosse dallo smantellamento
del movimento dei lavoratori e dall’azzeramento cruento delle sue avanguardie.
Mentre le parole di Gorizia accompagnano la nostra riflessione, ci
vengono alla mente le parole di un oscuro caporale austriaco. Nel proprio
diario – edito nel 1925 con il titolo di Mein Kampf, riedito e offerto in omaggio insieme al quotidiano Il
Giornale l’11 giugno scorso – l’oscuro caporale a nome Hitler bolla come “oltraggio” ( cit. La tregua di Natale )
all’onore tedesco quel breve episodio noto con il nome di tregua di Natale che,
non ammutinamento, non ribellione organizzata, fu solo il breve sussulto di una
giovane umanità che non voleva morire. O le parole di un Mussolini che - anno
1919-, descrivendo l’assalto alla sede dell’Avanti socialista scrive “tutti gli squadristi del fascio milanese
erano andati all’assalto del quotidiano l’Avanti come sarebbero andati
all’assalto di una trincea austriaca” ( cit. Franzinelli Squadristi)
O, infine, le parole pronunciate in una aula parlamentare. ”…che errori di uomini vi siano stati, che
colpe vi siano state, è indifferente alla nazione. La verità è che abbiamo
vinto e che la vittoria ha sanato tutto. Varie sono le formule della morale, ma
la morale del mondo in fondo è una sola: chi vince ha ragione”.
Escono dalla bocca di Saverio Nitti, Presidente del Consiglio. Il lessico
della dittatura è già inscritto nel lessico della grande guerra.
E’ il 13 settembre 1919. La
censura militare -dieci anni di galera a chi con “qualsiasi mezzo avesse commesso o istigato a commettere un fatto che
potesse deprimere lo spirito pubblico o altrimenti diminuire la resistenza del
paese” (cit.la prima guerra mondiale a cura di Mario Isnenghi) è appena
stata abolita e “l’Italia contadina e
operaia si alzava a chiedere conto della guerra, dei morti, delle sofferenze”(
cit. Giorgio Rochat) e forse,
aggiungiamo noi, anche degli enormi profitti del capitale ingrassato dalle
commesse di guerra.
E’ necessario imporre il silenzio; disciplinare le masse alla cieca
obbedienza, esaltata come virtù del soldato nelle trincee e assunta dal regime
fascista come paradigma di vita.
Mentre il fascismo si appropria dell’intera memoria della grande guerra e
ne fa pilastro dei propri paradigmi cognitivi, le parole di Saverio Nitti
gravano come lastra di piombo sull’elaborazione collettiva della grande guerra.
Le commemorazioni del IV novembre trasmutano nei decenni quasi immutate;
reiterate, con una sorta di malsana continuità tra Stato fascista e Stato post
fascista, nella immutabilità dei luoghi sacrali, delle corone di fiori, degli
inni e delle fanfare. Sommessamente, senza esplicite fratture, quasi in
sordina, la Repubblica
si limita a cancellare la denominazione “giornata della vittoria” sostituendola
con la più neutrale denominazione “giornata della unità nazionale e delle forze
armate”.
Per
uscire dalla afasia di una guerra non raccontata, consegnata come patrimonio al
fascismo, occorre uscire dall’Italia e cercare altre parole. Quelle contenute
in un libro edito nel 1931 e subito consegnato dai nazisti alle fiamme
purificatrici dei roghi : “ ci dissero patria e intendevano i progetti di
occupazione di una industria famelica, ci dissero onore e intendevano i litigi
e i desideri di potenza di un pugno di diplomatici ambiziosi e di principi, ci
dissero nazione ed intendevano il bisogno di attività di alcuni generali
disoccupati. Nella parola patriottismo hanno pigiato tutte le loro frasi, la
loro ambizione, la loro avidità di potenza, il loro romanticismo bugiardo, la
loro stupidità, il loro affarismo e ce l’hanno presentato come un ideale
radioso. E noi abbiamo creduto che fosse la fanfara trionfale di una esistenza
nuova... Abbiamo fatto la guerra contro noi stessi, senza saperlo. E ogni
proiettile che colpiva nel segno colpiva uno di noi.”( cit. Remarque la
via del ritorno)
A dare continuità “al chi vince ha ragione” di Saverio
Nitti ci penseranno gli squadristi. Per gli uomini in camicia nera non parlano
le parole, ma il rombo di un camion: è il modello Fiat 18BL, cassone alto,
ruote di gomma piena, possibilità di carico 15 uomini. Il camion esce dagli
arsenali della grande guerra, e parte per la spedizione punitiva. I primi morti
saranno trascinati nel fango, insieme ai vessilli dell’internazionalismo
proletario. D’ora in poi è ammessa una sola parola: Italia fascista.
Per
questo abbiamo qui con noi l’onorevole Scanu, primo firmatario del progetto di
legge per la riabilitazione delle vittime della giustizia sommaria sui fronti,
uno dei pochissimi gesti concreti con cui la Repubblica mostra di
voler fare i conti con la memoria di una guerra ancora inquietante.
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