Pubblichiamo l'intervento di Riccardo Scanarotti ( Direttivo sezione Onorina Pesce ) che, nel giorno della Liberazione, ha portato il saluto dell'ANPI a Tromello. Al centro dell'intervento, il ricordo di Pietro Agosti, di Tromello, combattente volontario in Spagna nel 1936 contro le truppe golpiste di Francisco Franco, e di Luigi Campegi, eroico comandante dei GAP.
"Cittadini e compagni antifascisti, buon 25 aprile a tutti. Da dove partire per parlare della Resistenza? Solitamente dal 25
luglio ed ancor più dall’8 settembre, con l’armistizio tra il nostro Paese e
gli Alleati.Quest'anno, però, preme richiamare l'attenzione sull'anniversario
di un altro evento della storia del '900, che ha avuto un ruolo
importantissimo, e che è legato a doppio filo alla storia d'Italia: l'inizio
della Guerra civile spagnola. Nel luglio del 1936, una parte dell'esercito spagnolo, capeggiato
dal generale Francisco Franco lanciò un golpe, un colpo di stato per rovesciare
il governo repubblicano democraticamente
eletto.
A differenza dei colpi di stato precedenti, la gente non stette
ferma a guardare, e le grandi organizzazioni di massa operaie e contadine si
armarono per affrontare la rivolta di Franco. La posta in gioco era alta: la radicale
trasformazione democratica della società che il governo repubblicano stava
portando avanti, e che stava danneggiando sempre più le classi conservatrici: i
grandi industriali, i proprietari terrieri, i nobili, l'esercito e la chiesa. Solitamente si tende a ricordare la Guerra civile spagnola come un
banco di prova per l'Asse Roma-Berlino, l'alleanza che legava fra loro l'Italia
fascista di Mussolini e la Germania nazista di Hitler. Fu però anche un banco
di prova per il movimento antifascista europeo. A fianco delle centinaia di
migliaia di spagnoli che combattevano Franco si unirono migliaia di volontari,
che da tutta Europa e da tutto il mondo andarono in Spagna per combattere,
dando vita alle Brigate internazionali. «Oggi in Spagna, domani in Italia!» era lo slogan con cui
quattromila volontari antifascisti italiani andarono a combattere in Spagna.
Bisognava sconfiggere prima Franco e il fascismo spagnolo per poi tornare in
patria e abbattere Mussolini e il fascismo italiano.
Dei quattromila volontari italiani, trenta erano originari della
provincia di Pavia, e uno di loro di Tromello. Figlio di Carlo e di Arnoldi Santina, Pietro Agosti nacque a Tromello il 10
dicembre 1905. A
causa delle sue idee comuniste fu costretto a lasciare il suo paese e a
rifugiarsi in Francia, nella zona di Avignone. Allo scoppio della Guerra civile
fu tra i primi a raggiungere la Spagna e a formare assieme ad altri italiani la
compagnia italiana del Battaglione Dimitrov. Nell'aprile del'37 passò alla
neonata Brigata Garibaldi, dove venne promosso sergente. Da questo punto in poi
le notizie si fecero più rare. Sicuramente sopravvisse alla Guerra civile e
probabilmente passò il resto della sua vita in Francia.
Franco sconfisse i repubblicani spagnoli, con l'appoggio materiale
di Italia e Germania, e con il sommesso benestare di Francia e Gran Bretagna. Ma
ormai il dado era tratto: il movimento antifascista era nato e si era misurato
in campo aperto contro i suoi avversari. Aveva perso una battaglia importante,
ma l'esito finale era tutt'altro che scontato.
Presto arrivò anche per l'Italia il suo momento: l'8 settembre, la
fuga del re, la pace con gli Alleati, la repubblica Sociale. Finalmente quei
giovani che avevano combattuto in Spagna e che avevano subito anni di
clandestinità, di confino e di angherie poterono tornare in Italia per
combattere. I primi a farsi sentire erano stati i lavoratori italiani, pochi
mesi prima. Nel marzo del 1943 avevano scioperato in tutto il paese, anche qui
da noi, nelle fabbriche e nelle risaie della Lomellina, mostrando il primo
concreto segno di cedimento del regime. La fame, i salari bassi, i
bombardamenti, i giovani mandati a combattere una guerra a cui ormai nessuno
più credeva erano i primi sintomi generali di un antifascismo istintivo che si
stava sviluppando fra la popolazione.
Dopo l'8 settembre, nella porzione d'Italia sotto il controllo
tedesco e della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, grazie alla rete
clandestina del Partito Comunista si costituirono i primi nuclei di quelle che
sarebbero poi diventate le Brigate Garibaldi e a cui presto si sarebbero unite
le formazioni combattenti degli altri partiti antifascisti, fra cui il Partito
d'Azione e il Partito Socialista. La Resistenza era finalmente iniziata.
Donne e uomini imbracciarono i fucili e per venti lunghi mesi
combatterono fianco a fianco, e con il sostegno della popolazione. Perché non
si poteva combattere a fianco dei fascisti, ma nemmeno si poteva stare con il
re, e con la famiglia reale, colpevole di aver consegnato l'Italia a Mussolini,
di aver permesso le campagne coloniali, l'alleanza con Hitler, le leggi
razziali, la guerra.
Quei giovani che andarono a combattere sulle montagne, in pianura
e nelle città si assunsero pubblicamente l'onere e la responsabilità di
combattere il fascismo ed il nazismo, riscattando l'onore e la reputazione del
nostro paese da vent'anni di dittatura.
Fra quei giovani vi era anche Luigi Campegi, il comandante Gigi.
Comandante gappista e vostro compaesano, ha dato la vita per la libertà e per
gli ideali in cui credeva. Nell'ultima lettera indirizzata agli amici scrisse «Cari
miei, sono stato condannato alla pena capitale, mi raccomando non fatelo sapere
ai miei genitori. Non piangete per me vado contento con 12 dei miei uomini,
spero di scrivervi ancora, vi abbraccio, Luigi».
Pietro Agosti e Luigi Campegi, due generazioni diverse ma che si
trovarono unite dalla stessa storia. Generazioni cui furono portati via gli
anni più belli, strappati dal fascismo e dalla guerra, ma che con il loro
sacrificio si evitò che ad altre generazioni toccasse lo stesso destino.
Cosa andiamo cercando, noi, in queste storie?
La politica di questi ultimi vent'anni ha svuotato di significato
un intero universo di parole, tanto che oggi, sentendole pronunciare, non ci
dicono più nulla.
Lasciamo allora che a dirle sia un partigiano, un altro figlio di
quelle generazioni che sacrificarono la loro vita. Poche ore prima di morire,
Pietro Benedetti, falegname e partigiano abruzzese scriveva alla moglie: «Amatevi
l'un l'altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore
compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il
migliore ornamento di chi vive. Dell'amore per l'umanità fate una religione e
siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili.
Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui
sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non
viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e,
ovunque vi sono vostri simili, quelli son vostri fratelli.»
Parole come queste, scritte da chi la guerra la subì in prima
persona dovrebbero essere pronunciate più spesso in anni come questi, dove
migliaia di persone fuggono da guerre insensate, cercando pace ed una vita
migliore, e in tutta risposta trovano solo frontiere chiuse e muri innalzati.
Lo sapevano bene quelle migliaia di antifascisti che negli anni venti e trenta
del secolo scorso dovettero scappare dalla loro terra per evitare la prigione o
la morte. Lo sapevano bene anche i nostri partigiani che lottarono e morirono
per darci un mondo più giusto, un mondo di pace, di libertà, di giustizia, senza
muri né frontiere.
Se oggi guardiamo attorno a noi ci rendiamo conto di come quei
valori e quegli ideali stiano attraversando una profonda crisi. Lobby di potere
e grandi interessi finanziari stanno aumentando le disuguaglianze tra i popoli.
Pochi sempre più ricchi contro tanti sempre più poveri.
Partiti e movimenti xenofobi incitano quotidianamente all'odio
razziale e all'esclusione del diverso, distogliendo la nostra attenzione da
quelli che sono le vere cause della degenerazione umana e sociale cui stiamo
assistendo.
Quella che doveva essere l'Europa dei popoli è invece diventata
l'Europa delle banche e della finanza.
I nostri partigiani ci consegnarono uno strumento fondamentale per
proteggere e tutelare la nostra democrazia: la Costituzione.
Negli ultimi decenni forze politiche di entrambi gli schieramenti,
hanno cercato di snaturare la Costituzione, riducendo gli spazzi democratici
nel nostro paese, dai luoghi di lavoro, alla vita pubblica, alla vita politica.
Il prossimo autunno saremo chiamati a decidere tramite referendum se vogliamo
oppure no ridurre la democrazia nell'ambito politico, in particolar modo sulla
legge elettorale e sulla riforma del senato.
L'ANPI, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, come
presidio della democrazia sostanziale, fin da oggi si impegna a lavorare per
bloccare queste norme, e invita tutti ad essere al nostro fianco nel difficile
futuro che ci aspetta.
Perché se c’è un messaggio positivo e sempre attuale che la
Resistenza e i partigiani ci hanno lasciato, è che davanti alle ingiustizie si
risponde con la partecipazione popolare. I nostri padri e i nostri nonni che
salirono in montagna settant’anni fa fecero la loro scelta. Fu una scelta dura
e che richiese sacrifici; oggi è il nostro momento: siamo chiamati a prendere
una scelta e a decidere da che parte vogliamo stare.Viva i partigiani, viva la Resistenza, viva il 25 aprile".
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