mercoledì 27 aprile 2016

NO PASARAN: il ricordo di Pietro Agosti volontario nella guerra di Spagna del '36



Pubblichiamo l'intervento di Riccardo Scanarotti ( Direttivo sezione Onorina Pesce ) che, nel giorno della Liberazione, ha portato il saluto dell'ANPI a Tromello. Al centro dell'intervento, il ricordo di Pietro Agosti, di Tromello, combattente volontario in Spagna nel 1936 contro le truppe golpiste di Francisco Franco, e di Luigi Campegi, eroico comandante dei GAP.
"Cittadini e compagni antifascisti, buon 25 aprile a tutti. Da dove partire per parlare della Resistenza? Solitamente dal 25 luglio ed ancor più dall’8 settembre, con l’armistizio tra il nostro Paese e gli Alleati.Quest'anno, però, preme richiamare l'attenzione sull'anniversario di un altro evento della storia del '900, che ha avuto un ruolo importantissimo, e che è legato a doppio filo alla storia d'Italia: l'inizio della Guerra civile spagnola. Nel luglio del 1936, una parte dell'esercito spagnolo, capeggiato dal generale Francisco Franco lanciò un golpe, un colpo di stato per rovesciare il governo repubblicano  democraticamente eletto.

A differenza dei colpi di stato precedenti, la gente non stette ferma a guardare, e le grandi organizzazioni di massa operaie e contadine si armarono per affrontare la rivolta di Franco. La posta in gioco era alta: la radicale trasformazione democratica della società che il governo repubblicano stava portando avanti, e che stava danneggiando sempre più le classi conservatrici: i grandi industriali, i proprietari terrieri, i nobili, l'esercito e la chiesa. Solitamente si tende a ricordare la Guerra civile spagnola come un banco di prova per l'Asse Roma-Berlino, l'alleanza che legava fra loro l'Italia fascista di Mussolini e la Germania nazista di Hitler. Fu però anche un banco di prova per il movimento antifascista europeo. A fianco delle centinaia di migliaia di spagnoli che combattevano Franco si unirono migliaia di volontari, che da tutta Europa e da tutto il mondo andarono in Spagna per combattere, dando vita alle Brigate internazionali. «Oggi in Spagna, domani in Italia!» era lo slogan con cui quattromila volontari antifascisti italiani andarono a combattere in Spagna. Bisognava sconfiggere prima Franco e il fascismo spagnolo per poi tornare in patria e abbattere Mussolini e il fascismo italiano.
Dei quattromila volontari italiani, trenta erano originari della provincia di Pavia, e uno di loro di Tromello. Figlio di Carlo e di Arnoldi  Santina, Pietro Agosti nacque a Tromello il 10 dicembre 1905. A causa delle sue idee comuniste fu costretto a lasciare il suo paese e a rifugiarsi in Francia, nella zona di Avignone. Allo scoppio della Guerra civile fu tra i primi a raggiungere la Spagna e a formare assieme ad altri italiani la compagnia italiana del Battaglione Dimitrov. Nell'aprile del'37 passò alla neonata Brigata Garibaldi, dove venne promosso sergente. Da questo punto in poi le notizie si fecero più rare. Sicuramente sopravvisse alla Guerra civile e probabilmente passò il resto della sua vita in Francia.
Franco sconfisse i repubblicani spagnoli, con l'appoggio materiale di Italia e Germania, e con il sommesso benestare di Francia e Gran Bretagna. Ma ormai il dado era tratto: il movimento antifascista era nato e si era misurato in campo aperto contro i suoi avversari. Aveva perso una battaglia importante, ma l'esito finale era tutt'altro che scontato.
Presto arrivò anche per l'Italia il suo momento: l'8 settembre, la fuga del re, la pace con gli Alleati, la repubblica Sociale. Finalmente quei giovani che avevano combattuto in Spagna e che avevano subito anni di clandestinità, di confino e di angherie poterono tornare in Italia per combattere. I primi a farsi sentire erano stati i lavoratori italiani, pochi mesi prima. Nel marzo del 1943 avevano scioperato in tutto il paese, anche qui da noi, nelle fabbriche e nelle risaie della Lomellina, mostrando il primo concreto segno di cedimento del regime. La fame, i salari bassi, i bombardamenti, i giovani mandati a combattere una guerra a cui ormai nessuno più credeva erano i primi sintomi generali di un antifascismo istintivo che si stava sviluppando fra la popolazione.
Dopo l'8 settembre, nella porzione d'Italia sotto il controllo tedesco e della Repubblica Sociale Italiana di Mussolini, grazie alla rete clandestina del Partito Comunista si costituirono i primi nuclei di quelle che sarebbero poi diventate le Brigate Garibaldi e a cui presto si sarebbero unite le formazioni combattenti degli altri partiti antifascisti, fra cui il Partito d'Azione e il Partito Socialista. La Resistenza era finalmente iniziata.
Donne e uomini imbracciarono i fucili e per venti lunghi mesi combatterono fianco a fianco, e con il sostegno della popolazione. Perché non si poteva combattere a fianco dei fascisti, ma nemmeno si poteva stare con il re, e con la famiglia reale, colpevole di aver consegnato l'Italia a Mussolini, di aver permesso le campagne coloniali, l'alleanza con Hitler, le leggi razziali, la guerra.
Quei giovani che andarono a combattere sulle montagne, in pianura e nelle città si assunsero pubblicamente l'onere e la responsabilità di combattere il fascismo ed il nazismo, riscattando l'onore e la reputazione del nostro paese da vent'anni di dittatura.
Fra quei giovani vi era anche Luigi Campegi, il comandante Gigi. Comandante gappista e vostro compaesano, ha dato la vita per la libertà e per gli ideali in cui credeva. Nell'ultima lettera indirizzata agli amici scrisse «Cari miei, sono stato condannato alla pena capitale, mi raccomando non fatelo sapere ai miei genitori. Non piangete per me vado contento con 12 dei miei uomini, spero di scrivervi ancora, vi abbraccio, Luigi».
Pietro Agosti e Luigi Campegi, due generazioni diverse ma che si trovarono unite dalla stessa storia. Generazioni cui furono portati via gli anni più belli, strappati dal fascismo e dalla guerra, ma che con il loro sacrificio si evitò che ad altre generazioni toccasse lo stesso destino.
Cosa andiamo cercando, noi, in queste storie?
La politica di questi ultimi vent'anni ha svuotato di significato un intero universo di parole, tanto che oggi, sentendole pronunciare, non ci dicono più nulla.
Lasciamo allora che a dirle sia un partigiano, un altro figlio di quelle generazioni che sacrificarono la loro vita. Poche ore prima di morire, Pietro Benedetti, falegname e partigiano abruzzese scriveva alla moglie: «Amatevi l'un l'altro, miei cari, amate vostra madre e fate in modo che il vostro amore compensi la mia mancanza. Amate lo studio e il lavoro. Una vita onesta è il migliore ornamento di chi vive. Dell'amore per l'umanità fate una religione e siate sempre solleciti verso il bisogno e le sofferenze dei vostri simili. Amate la libertà e ricordate che questo bene deve essere pagato con continui sacrifici e qualche volta con la vita. Una vita in schiavitù è meglio non viverla. Amate la madrepatria, ma ricordate che la patria vera è il mondo e, ovunque vi sono vostri simili, quelli son vostri fratelli.»
Parole come queste, scritte da chi la guerra la subì in prima persona dovrebbero essere pronunciate più spesso in anni come questi, dove migliaia di persone fuggono da guerre insensate, cercando pace ed una vita migliore, e in tutta risposta trovano solo frontiere chiuse e muri innalzati. Lo sapevano bene quelle migliaia di antifascisti che negli anni venti e trenta del secolo scorso dovettero scappare dalla loro terra per evitare la prigione o la morte. Lo sapevano bene anche i nostri partigiani che lottarono e morirono per darci un mondo più giusto, un mondo di pace, di libertà, di giustizia, senza muri né frontiere.
Se oggi guardiamo attorno a noi ci rendiamo conto di come quei valori e quegli ideali stiano attraversando una profonda crisi. Lobby di potere e grandi interessi finanziari stanno aumentando le disuguaglianze tra i popoli. Pochi sempre più ricchi contro tanti sempre più poveri.
Partiti e movimenti xenofobi incitano quotidianamente all'odio razziale e all'esclusione del diverso, distogliendo la nostra attenzione da quelli che sono le vere cause della degenerazione umana e sociale cui stiamo assistendo.
Quella che doveva essere l'Europa dei popoli è invece diventata l'Europa delle banche e della finanza.
I nostri partigiani ci consegnarono uno strumento fondamentale per proteggere e tutelare la nostra democrazia: la Costituzione.
Negli ultimi decenni forze politiche di entrambi gli schieramenti, hanno cercato di snaturare la Costituzione, riducendo gli spazzi democratici nel nostro paese, dai luoghi di lavoro, alla vita pubblica, alla vita politica. Il prossimo autunno saremo chiamati a decidere tramite referendum se vogliamo oppure no ridurre la democrazia nell'ambito politico, in particolar modo sulla legge elettorale e sulla riforma del senato.
L'ANPI, l'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, come presidio della democrazia sostanziale, fin da oggi si impegna a lavorare per bloccare queste norme, e invita tutti ad essere al nostro fianco nel difficile futuro che ci aspetta.
Perché se c’è un messaggio positivo e sempre attuale che la Resistenza e i partigiani ci hanno lasciato, è che davanti alle ingiustizie si risponde con la partecipazione popolare. I nostri padri e i nostri nonni che salirono in montagna settant’anni fa fecero la loro scelta. Fu una scelta dura e che richiese sacrifici; oggi è il nostro momento: siamo chiamati a prendere una scelta e a decidere da che parte vogliamo stare.Viva i partigiani, viva la Resistenza, viva il 25 aprile".

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