lunedì 21 marzo 2016

NOTE A MARGINE Al DOCUMENTO NAZIONALE: LA FELICITA' CIVILE



Al Congresso Provinciale ANPI 19/20 marzo a nome delle sezioni di Pavia, Annalisa Alessio ha presentato il documento sul ruolo e l'identità dell'ANPI, già approvato dal congresso locale. Riportiamo integralmente il testo, che sarà inviato agli organismi nazionale in vista del Congresso di Rimini.
All’indomani della Liberazione la partigiana Teresa Cirio avrebbe scritto “si rischiava la morte però talmente c’era gioia di vivere; delle volte io leggo che i compagni erano tetri. Non è vero. Eravamo sereni. Anzi eravamo proprio felici perché sapevamo che facevamo una cosa importante”. Abbiamo scelto queste parole perché esse riflettono quello che ci pare manchi nel documento congressuale.
Dalle sue molte pagine non si sprigiona quella “felicità che nasce dalla convinzione di compiere, esercitando la nostra scelta antifascista, un dovere di civiltà e di ragione.

La “felicità civile”, che ci persuade a rinunciare a pezzi del nostro tempo privato per metterlo a disposizione, liberamente e volontariamente di una militanza comune, consiste a nostro avviso nel :
 -riconoscere come indissolubile il binomio tra antifascismo e democrazia
 -resistere al dilagante trasformismo e alla contagiosa indifferenza di un Paese povero di memoria e di etica pubblica
            -declinare la rigorosa radicalità resistenziale, a contraltare delle becere intolleranze, nutrite da nuove paure e antiche ignoranze, ahimè presenti in un Paese
-in cui, per almeno vent’anni, una classe dirigente, uscita dal voto delle urne senza bisogno di ricorrere al manganello, si è collocata prima ancora che “contro la legge”, “fuori dalla legge” in una sorta di ritorno ad uno stato pre-borghese,
-in cui permangono ampie secche di contiguità tra malaffare e politica, e l’occupazione clientelare dei partiti nelle istituzioni repubblicane, vero nodo della questione morale, è stata tra le origini di un avvelenato degrado antropologico.
La “felicità civile” è, a nostro avviso, uno dei motivi più forti che ha permesso alla nostra associazione - non di “sopravvivere” al ‘900 - ma di traghettare da un secolo all’altro le parole della libertà, traendo dalle proprie radici ragioni di speranza e futuro. Il congresso, allora, per le nostre sezioni, è occasione per ritessere il filo di una felicità e di un orgoglio civile in una organizzazione che vuole essere erede della stagione in cui la storia d’Italia riscattò sé stessa, in cui donne e uomini presero volontariamente parte ad una lotta intesa non solo alla cacciata dell’esercito tedesco, ma, in una sorta di anabasi, alla liberazione -di sé e del Paese- da una dittatura
-nata nel mondo rurale per ripristinare l’onnipotenza padronale (cit. Angelo Tasca)
-rafforzatasi declinando, come pre-condizione del suo stesso sviluppo, il mortale smantellamento delle organizzazioni dei lavoratori, (cit.Rosa Luxemburg) nella guerra civile degli anni ’20,
-radicatasi nell’ampio margine di consenso della piccola e media borghesia, che subì e fece proprio il modello dominante, ad arte costruito, della paura del pericolo rosso, consegnando sé stessa e il Paese all’uomo della Provvidenza e alla guerra in qualità di alleato subalterno al grande Reich.

Il documento, difficilmente emendabile, forse perché ritorto su sè da più mani, è una elencazione di compiti, obiettivi e ruolo dell’ANPI; una elencazione, oseremmo dire, al ribasso perché spesso sui territori agiscono realtà dell’ANPI attive e sensibili, cui forse il documento non rende piena giustizia.
In alcune sue parti, manca di quel “tono dell’anima” indicato da Bonaventura Tecchi in una lettera a Benedetto Croce nel ’44 [ due pensatori non tacciabili certo di essere pericolosi estremisti] come asse portante dell’antifascismo; là dove l’antifascismo si intreccia al bisogno e alla ricerca di democrazia, per diventare, non già un armamentario di nostalgia, ma uno strumento di militanza che disegna al proprio orizzonte una società giusta in cui ognuno si riconosca e venga riconosciuto come cittadino,
parola in via di estinzione dalla sintassi politica, sostituita in maniera impropria, ma purtroppo non casuale, organicamente inserita in un grande gioco di distrazione di massa, con la parola “famiglia” o “gente”, scientemente annullando ogni differenza di classe.
[memoria] : il documento congressuale dedica ampia parte di sé alla memoria proponendo passaggi sacrosanti (le corone le commemorazioni le lapidi le ricorrenze).
Forse per nostra disattenzione, non troviamo però un passaggio energico contro le sempre ricorrenti forme di revisionismo storico, che, e non solo nel ventennio berlusconiano, hanno trovato cento megafoni televisivi, né un passaggio esplicito contro il persistente richiamo alla umana pietà -quasi che gli antifascisti ne fossero privi- che, quale sovrastruttura ideologica, affonda radici nella mitologia dannunziana della bella morte, così accomunando i caduti per la libertà e i caduti repubblichini.  
Crediamo sia dovere dell’ANPI lavorare contro l’indulgenza della memoria ( cit. Guido Crainz autobiografia di una repubblica) e contro la permanente tendenza all’auto assoluzione di un Paese che, a partire dall’amnistia Togliatti, mandò liberi e impuniti tanti degli aguzzini della RSI e permise il radicamento nello “stato profondo” di uomini del regime che, dagli anni dello stragismo continuarono a tessere il filo di una storia nera e criminale.
Storia, non si è mai conclusa, se anche oggi leggiamo in un documento prefettizio ( Roma 11 aprile 2015 ) la definizione dei componenti di Casa Pound come bravi ragazzi dotati di “ stile di militanza fattivo e dinamico”( sic), che ordinatamente marciano in forma militare, levando, aggiungiamo noi, il braccio destro nel saluto romano, sostenendo “una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del ventennio”. (sic) Questi bravi ragazzi, cui pare assolutamente difficile il diniego di spazi pubblici, [vedasi questione odg Consiglio Comunale di Pavia e regolamento attuativo] allineano le proprie camice nere alle camice verdi, sognando il giorno in cui potranno marchiare la carne martoriata dei richiedenti asilo con la parola nemico, agendo non diversamente da come agirono i comuni cittadini tedeschi complici dello sterminio sui sub umani esclusi del magico cerchio della razza perfetta e rispolverando le mitologie dell’italianità trionfatrice, già applicata da comuni soldati italiani nell’ Etiopia bombardata con i gas o nei Balcani cinti dal filo spinato dei lager italiani – Paesi, questi, che, nel dopoguerra, vanamente richiesero al nostro Paese l’estradizione dei criminali di guerra italiani.
Il documento richiama ottime iniziative (la ricostruzione dell’Atlante delle stragi, il convegno sui confini orientali, la convenzione con il Miur per le iniziative nelle scuole, iniziative che anche la sezione Onorina Pesce ha avviato)
Ma non riusciamo a trovare quella parola incandescente che affida alla memoria la sua ragione autentica.
La memoria, per noi, non è solo la conoscenza, lo studio e la cura del passato, ma lo strumento che, qui ed ora, ci permette di
-scegliere da che parte stare,
-decifrare, ad esempio, il disegno tutto politico sotteso allo smantellamento della Costituzione,
-individuare nel presente segnali di torsione anti democratica qualora si tenda, ad esempio, alla costruzione di un partito a pretesa universalistica.
La memoria è per noi progetto per il futuro, passaggio cruciale che trasforma le commemorazioni a sapore liturgico in ricordo che non si acquieta e continua a fare male, per farsi scelta permanente che ci vuole impegnati nelle battaglie per la libertà – cyhe significa prima di tutto l’emancipazione dal bisogno e la liberazione dallo sfruttamento.
L’organizzazione che immaginiamo è una ANPI sovversiva che, affidandosi ad una storiografia ricchissima, laceri la memoria edulcorata di un Paese incline alla rimozione e alla indifferenza, per dare luce alle stanze vigilate che hanno visto i partigiani processati nel dopo guerra utilizzando come prove gli stessi atti e gli stessi verbali prodotti dalla GNR, che ha come antefatto giuridico il mancato riconoscimento delle azioni partigiane come azioni di guerra, [ cui la nostra sezione ha dato il proprio minuscolo contributo scrivendo del partigiano gappista Renato Tisato, processato nel 1957], i combattenti partigiani torturati nel triangolo della morte o i reduci del partigianato finiti in manicomio ( cit. Franzinelli una odissea partigiana ), o disoccupati e costretti ai margini, fino alla storia senza pace del Comandante partigiano Francesco Moranino o di quel ragazzo a nome Giulio Paggio, morto esule a Praga nel 2008, magari anche facendoci una riflessione in più sulla presunta e tranquillizzante continuità benpensante tra risorgimento e Resistenza, là dove Roberto Battaglia scrive “nessuna peggiore confusione si può fare che scambiare il movimento partigiano con il risorgimento… L’uno moto di ristretta cerchia di intellettuali, vivo in talune figure esemplari alla fantasia come Garibaldi, l’altro moto di massa espressosi liberamente con la partecipazione dei più umili nelle più varie regioni d’italia e che dalle regioni è passato subito ad una idea non più nazionale ma volta direttamente alle necessità dell’uomo in generale, quale stava uscendo dall’oppressione nazifascista” (cit. R. Battaglia Un uomo un partigiano).
Abbiamo bisogno di far nostra e diffondere una memoria dolorosa e non ossequiente, una memoria sovversiva che -appunto- sovverta l’immagine di una Italia ricostruita, uscita dal fascismo come da una infelice parentesi nazionale, in cammino verso il radioso avvenire della Carta Costituzionale ( in realtà restata in larga parte inattuata- vedasi articolo 41 l’iniziativa economica privata “non può svolgersi in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana” e articolo 54 “i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”,- ed anzi oggi sotto attacco) e del miracolo economico, per altro a duro prezzo pagato con l’ossequio al Piano Marschall e una industrializzazione senza regole e senza legge, privilegiante grandi interessi di grandi famiglie commiste al potere pubblico.
[ costituzione] Ecco Carta Costituzionale:  abbiamo vissuto con dolore i mesi precedenti la risoluzione del Comitato nazionale, tanto che nello scorso novembre ci siamo permessi di indirizzare ai suoi componenti un appello a rompere ogni attendismo e a schierarsi limpidamente con le proprie bandiere e i propri militanti per il No.
Se la battaglia referendaria ha esiti incerti, non possiamo tuttavia non combatterla, coagulando attraverso la nostra presenza nei Comitati, uno schieramento ampio, che, al di là ed oltre l’appartenenza di partito, faccia azione di orientamento e mobilitazione per contrastare il progressivo restringimento degli spazi democratici, contrabbandato come iniziativa urgente, giusta e necessaria,  chiesta a gran voce dal Paese, tesa al risparmio di spesa, alla snellezza procedurale, e ispirata, chissà, al mito vagamente martinettiano e futurista della velocità cronologica delle decisioni, persino a  discapito della loro sensatezza.
[quadro italiano] nel passare poi al quadro italiano, dal documento emerge la descrizione di un Paese
-“che non ha ancora superato i residui del berlusconismo” – p. 6 ( sic)
-“in cui c’è poco rispetto per la Costituzione” pag. 6 (sic)
-“dove si impone una sorta di supremazia del governo sul parlamento, svuotando quest’ultimo delle sue prerogative” pag. 7 ( sic)
-in cui l’ANPI chiede ai partiti “una radicale rigenerazione di sé pena l’annullamento di ogni seria prospettiva per il Paese” p. 9. ( sic)
mentre attorno a noi infuria la guerra e “cresce il livello di povertà” (p. 8 ).
Noi condividiamo questo quadro; proprio per questo siamo convinti che l’ANPI, in forza della sua identità e della sua storia, debba fare un passo in più, cominciando, e non per sola correttezza lessicale,
-dal porre il soggetto e i soggetti in capo alla frase,
-dal dare cognomi e nomi ai governi,
-dall’apporre il termine capitalismo ai perchè di tanto disastro, così da evitare una lettura idealistico-crociana della crisi, altrimenti ineludibile come sciagura piovuta dal cielo, o funesta parentesi nel determinismo progressivo dei popoli.
In forza del quadro di Paese disegnato nel documento e in forza della nostra identità dobbiamo impegnare la nostra associazione nella rottura del silenzio, facendo quadrato, chiamando alla mobilitazione, denunciando la subalternità delle strutture dei governi alla abnorme prevaricazione del potere finanziario che fa gli sfruttati sempre più sfruttati e gli sfruttatori sempre più arroganti, potenti e sciolti da vincoli.
Forse l’assenza di “felicità” del documento trova radici proprio in questo non-detto, in questa ritrosia silenziosa che, mentre si sofferma a descrivere le povertà, le diseguaglianze e le ingiustizie, frena là dove sarebbe il momento di accelerare, senza reticenze indicandone le ragioni lontane e le cause vicine.
Abbiamo l’impressione che, solo superando questo non-detto, questa cautela un po’ morotea nel chiamare le cose con il loro nome, la nostra organizzazione possa ritrovare il compimento pieno, e allora sì, felice, delle ragioni, altrimenti appannate, della propria esistenza.
[legalità] Per quanto attiene la questione della legalità, (p. 9,p. 17) il documento la approccia in una maniera un po’ banalizzante  “l’Anpi non può che essere per il rispetto della legge” (sic) ed anche un poco incomprensibile “un buon cittadino deve badare anche alle regole non scritte e non accompagnate da sanzioni che sono imposte dal comune sentire” ( sic).
Questa espressione (“comune sentire”) ci sembra l’equivalente generico della parola “gente” e con un qualche smarrimento ci chiediamo se esista un comune sentire identico tra il disoccupato e l’amministratore delegato, tra il ricercatore sotto pagato in partenza per altri Paesi e l’evasore fiscale, tra i lavoratori dipendenti e i furbetti che si fanno tana nelle pieghe della politica e vivono non di proventi illeciti, certo, ma di prebende elargite dal potere pubblico, in un dilagante predominio  degli intessi familistico territoriali sull’interesse generale.
Legalità non è per noi soltanto il rispetto delle regole, ma il fondamento etico dell’agire, così come la storia ce lo ha consegnato per il tramite di due partigiani, di due diverse fedi, l’uno cattolico l’altro protestante, Costantino Muzio e Willy Jerwis, i quali, nelle ultime lettere, scrivono di aver scelto la strada della lotta perché “chiamati ad essa dalla propria coscienza”.  
[associazione] l’ANPI non è un sindacato e non è un partito; la nostra autonomia va conquistata ogni giorno, evitandone la dissoluzione in una passerella di partito, esprimendo con coerenza il nostro irriducibile punto di vista.
[identità] In alcune situazioni, possiamo rischiare -così come ci è stato detto in occasione del centenario della grande guerra- di essere poco inclusivi.
Ma, più che genericamente “inclusivi”, dobbiamo piuttosto lavorare per essere civilmente e culturalmente egemoni, dove l’egemonia può essere solo il frutto di un pensiero coerente, rigoroso e pulito, di paradigma etico in un Paese pervaso da una illegalità diffusa e sempre in bilico tra rassegnazione e connivenza.
[cattive compagnie] La coerenza con la storia e i valori resistenziale rappresentano la forza di una identità che non si accontenta di bastare a sé stessa, che sollecita il confronto con ogni cittadino antifascista, senza temere il presunto contagio di quelle che il documento criticamente chiama “cattive compagnie” ( p. 32), pena il rischio di diventare un centro studio o di auto relegarci ad un ruolo di club autoreferenziato.
[ i luoghi] Immaginando i “luoghi”in cui l’ANPI debba agire, noi pensiamo come necessario interlocutore alle istituzioni cui chiediamo di mostrare il vero volto antifascista, e pensiamo anche alle piazze, alle strade, alle aule delle università, ai luoghi di lavoro, alle periferie, ai gradini su cui stravacca i suoi giorni chi ha rinunciato sia allo studio sia alla ricerca del lavoro.
Pensiamo soprattutto che l’ANPI debba farsi largo in un “luogo interiore” : quella della coscienza dei cittadini. La dismissione della capacità, della fatica e della responsabilità del pensare, che, già alla base del nazifascismo, rischia di riproporsi oggi, quando la desistenza rispetto al sogno della Liberazione dell’uomo rischia di farci più poveri, più soli, più schiavi.
[ bella ciao ] Conosciamo l’incip di Bella ciao che, con la semplice frase “una mattina mi son svegliato ci chiama oggi ad un risveglio interiore, in grado di posare sul mondo un punto di vista non viziato e non subalterno, così costruire, a partire da noi stessi, un paradigma antropologico smarcato dall’egoismo e dal servilismo sociale, per riuscire a leggere, nella stringente brutale necessità dell’oggi, l’ansia e il bisogno di un futuro migliore.
Una parola per chiudere ?
Tra le tante che vorremmo traghettare dall’una all’altra generazione, dal vecchio secolo al nuovo, abbiamo scelto la antica parola di origine greca ANABASI che indica bene il compito cui siamo chiamati :
-uscire uscire dall’ombra
-camminare a testa alta
-risalire oltre
-cercare, affrontando i rischi di un viaggio lungo e difficile, la patria che abbiamo nel cuore e l’orizzonte che abbiamo in testa.

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