Al Congresso Provinciale ANPI 19/20 marzo a nome delle sezioni di Pavia, Annalisa Alessio ha presentato il documento sul ruolo e l'identità dell'ANPI, già approvato dal congresso locale. Riportiamo integralmente il testo, che sarà inviato agli organismi nazionale in vista del Congresso di Rimini.
All’indomani
della Liberazione la partigiana Teresa Cirio avrebbe scritto “si rischiava la morte però talmente c’era
gioia di vivere; delle volte io leggo che i compagni erano tetri. Non è vero.
Eravamo sereni. Anzi eravamo proprio felici perché sapevamo che facevamo una
cosa importante”. Abbiamo scelto queste parole perché esse riflettono
quello che ci pare manchi nel documento congressuale.
Dalle
sue molte pagine non si sprigiona quella “felicità” che nasce dalla convinzione di compiere, esercitando la nostra
scelta antifascista, un dovere di civiltà e di ragione.
La
“felicità
civile”, che ci persuade a rinunciare a pezzi del nostro tempo privato
per metterlo a disposizione, liberamente e volontariamente di una militanza
comune, consiste a nostro avviso nel :
-riconoscere
come indissolubile il binomio tra antifascismo e democrazia
-resistere
al dilagante trasformismo e alla contagiosa indifferenza di un Paese povero di
memoria e di etica pubblica
-declinare la rigorosa radicalità resistenziale,
a contraltare delle becere intolleranze, nutrite da nuove paure e antiche
ignoranze, ahimè presenti in un Paese
-in cui, per almeno vent’anni,
una classe dirigente, uscita dal voto delle urne senza bisogno di ricorrere al
manganello, si è collocata prima ancora che “contro la legge”, “fuori dalla
legge” in una sorta di ritorno ad uno stato pre-borghese,
-in cui permangono ampie secche
di contiguità tra malaffare e politica, e l’occupazione clientelare dei partiti
nelle istituzioni repubblicane, vero nodo della questione morale, è stata tra
le origini di un avvelenato degrado antropologico.
La
“felicità civile” è, a nostro avviso,
uno dei motivi più forti che ha permesso alla nostra associazione - non di
“sopravvivere” al ‘900 - ma di traghettare da un secolo all’altro le parole
della libertà, traendo dalle proprie radici ragioni di speranza e futuro. Il
congresso, allora, per le nostre sezioni, è occasione per ritessere il filo di
una felicità e di un orgoglio civile in una organizzazione che vuole essere
erede della stagione in cui la storia d’Italia riscattò sé stessa, in cui donne
e uomini presero volontariamente parte ad una lotta intesa non solo alla
cacciata dell’esercito tedesco, ma, in una sorta di anabasi, alla liberazione -di sé e del Paese- da una dittatura
-nata nel mondo rurale per
ripristinare l’onnipotenza padronale (cit. Angelo Tasca)
-rafforzatasi declinando, come
pre-condizione del suo stesso sviluppo, il mortale smantellamento delle
organizzazioni dei lavoratori, (cit.Rosa Luxemburg) nella guerra civile degli
anni ’20,
-radicatasi nell’ampio margine
di consenso della piccola e media borghesia, che subì e fece proprio il modello
dominante, ad arte costruito, della paura del pericolo rosso, consegnando sé
stessa e il Paese all’uomo della Provvidenza e alla guerra in qualità di
alleato subalterno al grande Reich.
Il
documento, difficilmente emendabile, forse perché ritorto su sè da più mani, è
una elencazione di compiti, obiettivi e ruolo dell’ANPI; una elencazione,
oseremmo dire, al ribasso perché spesso sui territori agiscono realtà dell’ANPI
attive e sensibili, cui forse il documento non rende piena giustizia.
In
alcune sue parti, manca di quel “tono
dell’anima” indicato da Bonaventura Tecchi in una lettera a Benedetto Croce
nel ’44 [ due pensatori non tacciabili certo di essere pericolosi estremisti]
come asse portante dell’antifascismo; là dove l’antifascismo si intreccia al
bisogno e alla ricerca di democrazia, per diventare, non già un armamentario di
nostalgia, ma uno strumento di militanza che disegna al proprio orizzonte una
società giusta in cui ognuno si riconosca e venga riconosciuto come cittadino,
parola
in via di estinzione dalla sintassi politica, sostituita in maniera impropria,
ma purtroppo non casuale, organicamente inserita in un grande gioco di
distrazione di massa, con la parola “famiglia”
o “gente”, scientemente annullando ogni differenza di classe.
[memoria] : il documento congressuale
dedica ampia parte di sé alla memoria
proponendo passaggi sacrosanti (le corone le commemorazioni le lapidi le
ricorrenze).
Forse
per nostra disattenzione, non troviamo però un passaggio energico contro le
sempre ricorrenti forme di revisionismo
storico, che, e non solo nel ventennio berlusconiano, hanno trovato cento
megafoni televisivi, né un passaggio esplicito contro il persistente richiamo
alla umana pietà -quasi che gli antifascisti ne fossero privi- che, quale
sovrastruttura ideologica, affonda radici nella mitologia dannunziana della
bella morte, così accomunando i caduti per la libertà e i caduti repubblichini.
Crediamo
sia dovere dell’ANPI lavorare contro l’indulgenza della memoria ( cit. Guido
Crainz autobiografia di una repubblica) e contro la permanente tendenza
all’auto assoluzione di un Paese che, a partire dall’amnistia Togliatti, mandò
liberi e impuniti tanti degli aguzzini della RSI e permise il radicamento nello
“stato profondo” di uomini del regime che, dagli anni dello stragismo
continuarono a tessere il filo di una storia nera e criminale.
Storia,
non si è mai conclusa, se anche oggi leggiamo in un documento prefettizio (
Roma 11 aprile 2015 ) la definizione dei componenti di Casa Pound come bravi ragazzi dotati di “ stile di militanza fattivo e dinamico”(
sic), che ordinatamente marciano in forma militare, levando, aggiungiamo noi,
il braccio destro nel saluto romano, sostenendo “una rivalutazione degli aspetti innovativi e di promozione sociale del
ventennio”. (sic) Questi bravi ragazzi, cui pare assolutamente difficile il
diniego di spazi pubblici, [vedasi questione odg Consiglio Comunale di Pavia e
regolamento attuativo] allineano le proprie camice nere alle camice verdi, sognando
il giorno in cui potranno marchiare la carne martoriata dei richiedenti asilo con la parola
nemico, agendo non diversamente da come agirono i comuni cittadini tedeschi
complici dello sterminio sui sub umani esclusi del magico cerchio della razza
perfetta e rispolverando le mitologie dell’italianità trionfatrice, già
applicata da comuni soldati italiani nell’ Etiopia bombardata con i gas o nei
Balcani cinti dal filo spinato dei lager italiani – Paesi, questi, che, nel
dopoguerra, vanamente richiesero al nostro Paese l’estradizione dei criminali
di guerra italiani.
Il
documento richiama ottime iniziative (la ricostruzione dell’Atlante delle
stragi, il convegno sui confini orientali, la convenzione con il Miur per le iniziative
nelle scuole, iniziative che anche la sezione Onorina Pesce ha avviato)
Ma
non riusciamo a trovare quella parola incandescente che affida alla memoria la
sua ragione autentica.
La
memoria, per noi, non è solo la conoscenza, lo studio e la cura del passato, ma
lo strumento che, qui ed ora, ci permette di
-scegliere da che parte stare,
-decifrare, ad esempio, il
disegno tutto politico sotteso allo smantellamento della Costituzione,
-individuare nel presente
segnali di torsione anti democratica qualora si tenda, ad esempio, alla
costruzione di un partito a pretesa universalistica.
La
memoria è per noi progetto per il futuro, passaggio cruciale che trasforma le
commemorazioni a sapore liturgico in ricordo che non si acquieta e continua a
fare male, per farsi scelta permanente che ci vuole impegnati nelle battaglie
per la libertà – cyhe significa prima di tutto l’emancipazione dal bisogno e la
liberazione dallo sfruttamento.
L’organizzazione
che immaginiamo è una ANPI sovversiva
che, affidandosi ad una storiografia ricchissima, laceri la memoria edulcorata
di un Paese incline alla rimozione e alla indifferenza, per dare luce alle
stanze vigilate che hanno visto i partigiani processati nel dopo guerra
utilizzando come prove gli stessi atti e gli stessi verbali prodotti dalla GNR,
che ha come antefatto giuridico il mancato riconoscimento delle azioni
partigiane come azioni di guerra, [ cui la nostra sezione ha dato il proprio
minuscolo contributo scrivendo del partigiano gappista Renato Tisato,
processato nel 1957], i combattenti partigiani torturati nel triangolo della
morte o i reduci del partigianato finiti in manicomio ( cit. Franzinelli una
odissea partigiana ), o disoccupati e costretti ai margini, fino alla storia senza
pace del Comandante partigiano Francesco Moranino o di quel ragazzo a nome
Giulio Paggio, morto esule a Praga nel 2008, magari anche facendoci una riflessione
in più sulla presunta e tranquillizzante continuità benpensante tra
risorgimento e Resistenza, là dove Roberto Battaglia scrive “nessuna peggiore confusione si può fare che
scambiare il movimento partigiano con il risorgimento… L’uno moto di ristretta
cerchia di intellettuali, vivo in talune figure esemplari alla fantasia come
Garibaldi, l’altro moto di massa espressosi liberamente con la partecipazione
dei più umili nelle più varie regioni d’italia e che dalle regioni è passato
subito ad una idea non più nazionale ma volta direttamente alle necessità
dell’uomo in generale, quale stava uscendo dall’oppressione nazifascista” (cit.
R. Battaglia Un uomo un partigiano).
Abbiamo
bisogno di far nostra e diffondere una memoria dolorosa e non ossequiente, una memoria
sovversiva che -appunto- sovverta l’immagine di una Italia ricostruita, uscita
dal fascismo come da una infelice parentesi nazionale, in cammino verso il
radioso avvenire della Carta Costituzionale ( in realtà restata in larga parte
inattuata- vedasi articolo 41 l’iniziativa economica privata “non può svolgersi
in contrasto con l'utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana” e articolo 54 “i cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore”,- ed
anzi oggi sotto attacco) e del miracolo economico, per altro a duro prezzo
pagato con l’ossequio al Piano Marschall e una industrializzazione senza regole
e senza legge, privilegiante grandi interessi di grandi famiglie commiste al
potere pubblico.
[
costituzione] Ecco
Carta Costituzionale: abbiamo vissuto con dolore i mesi precedenti
la risoluzione del Comitato nazionale, tanto che nello scorso novembre ci siamo
permessi di indirizzare ai suoi componenti un appello a rompere ogni attendismo
e a schierarsi limpidamente con le proprie bandiere e i propri militanti per il
No.
Se la battaglia referendaria ha
esiti incerti, non possiamo tuttavia non combatterla, coagulando attraverso la
nostra presenza nei Comitati, uno schieramento ampio, che, al di là ed oltre
l’appartenenza di partito, faccia azione di orientamento e mobilitazione per
contrastare il progressivo restringimento degli spazi democratici,
contrabbandato come iniziativa urgente, giusta e necessaria, chiesta a gran voce dal Paese, tesa al
risparmio di spesa, alla snellezza procedurale, e ispirata, chissà, al mito
vagamente martinettiano e futurista della velocità cronologica delle decisioni,
persino a discapito della loro sensatezza.
[quadro italiano] nel passare poi al quadro
italiano, dal documento emerge la descrizione di un Paese
-“che non ha ancora superato i
residui del berlusconismo” – p. 6 ( sic)
-“in cui c’è poco rispetto per
la Costituzione” pag. 6 (sic)
-“dove si impone una sorta di
supremazia del governo sul parlamento, svuotando quest’ultimo delle sue
prerogative” pag. 7 ( sic)
-in cui l’ANPI chiede ai
partiti “una radicale rigenerazione di sé pena l’annullamento di ogni seria
prospettiva per il Paese” p. 9. ( sic)
mentre
attorno a noi infuria la guerra e “cresce il livello di povertà” (p. 8 ).
Noi
condividiamo questo quadro; proprio per questo siamo convinti che l’ANPI, in
forza della sua identità e della sua storia, debba fare un passo in più, cominciando,
e non per sola correttezza lessicale,
-dal porre il soggetto e i
soggetti in capo alla frase,
-dal dare cognomi e nomi ai
governi,
-dall’apporre il termine
capitalismo ai perchè di tanto disastro, così da evitare una lettura
idealistico-crociana della crisi, altrimenti ineludibile come sciagura piovuta
dal cielo, o funesta parentesi nel determinismo progressivo dei popoli.
In
forza del quadro di Paese disegnato nel documento e in forza della nostra
identità dobbiamo impegnare la nostra associazione nella rottura del silenzio,
facendo quadrato, chiamando alla mobilitazione, denunciando la subalternità
delle strutture dei governi alla abnorme prevaricazione del potere finanziario
che fa gli sfruttati sempre più sfruttati e gli sfruttatori sempre più
arroganti, potenti e sciolti da vincoli.
Forse
l’assenza di “felicità” del
documento trova radici proprio in questo non-detto,
in questa ritrosia silenziosa che, mentre si sofferma a descrivere le povertà,
le diseguaglianze e le ingiustizie, frena là dove sarebbe il momento di accelerare,
senza reticenze indicandone le ragioni lontane e le cause vicine.
Abbiamo
l’impressione che, solo superando questo non-detto, questa cautela un po’
morotea nel chiamare le cose con il loro nome, la nostra organizzazione possa
ritrovare il compimento pieno, e allora sì, felice, delle ragioni, altrimenti
appannate, della propria esistenza.
[legalità] Per quanto attiene la
questione della legalità,
(p. 9,p. 17) il documento la approccia in una maniera un po’ banalizzante “l’Anpi
non può che essere per il rispetto della legge” (sic) ed anche un poco
incomprensibile “un buon cittadino deve
badare anche alle regole non scritte e non accompagnate da sanzioni che sono
imposte dal comune sentire” ( sic).
Questa
espressione (“comune sentire”) ci sembra l’equivalente generico della parola
“gente” e con un qualche smarrimento ci chiediamo se esista un comune sentire
identico tra il disoccupato e l’amministratore delegato, tra il ricercatore
sotto pagato in partenza per altri Paesi e l’evasore fiscale, tra i lavoratori
dipendenti e i furbetti che si fanno tana nelle pieghe della politica e vivono
non di proventi illeciti, certo, ma di prebende elargite dal potere pubblico,
in un dilagante predominio degli intessi
familistico territoriali sull’interesse generale.
Legalità
non è per noi soltanto il rispetto delle regole, ma il fondamento etico
dell’agire, così come la storia ce lo ha consegnato per il tramite di due partigiani,
di due diverse fedi, l’uno cattolico l’altro protestante, Costantino Muzio e
Willy Jerwis, i quali, nelle ultime lettere, scrivono di aver scelto la strada
della lotta perché “chiamati ad essa dalla propria coscienza”.
[associazione] l’ANPI non è un sindacato e
non è un partito; la nostra autonomia
va conquistata ogni giorno, evitandone la dissoluzione in una passerella di
partito, esprimendo con coerenza il nostro irriducibile punto di vista.
[identità] In alcune situazioni, possiamo
rischiare -così come ci è stato detto in occasione del centenario della grande
guerra- di essere poco inclusivi.
Ma,
più che genericamente “inclusivi”, dobbiamo piuttosto lavorare per essere
civilmente e culturalmente egemoni, dove l’egemonia può essere solo il frutto
di un pensiero coerente, rigoroso e pulito, di paradigma etico in un Paese
pervaso da una illegalità diffusa e sempre in bilico tra rassegnazione e
connivenza.
[cattive
compagnie] La
coerenza con la storia e i valori resistenziale rappresentano la forza di una
identità che non si accontenta di bastare a sé stessa, che sollecita il
confronto con ogni cittadino antifascista, senza temere il presunto contagio di
quelle che il documento criticamente chiama “cattive
compagnie” ( p. 32), pena il rischio di diventare un centro studio o di auto
relegarci ad un ruolo di club autoreferenziato.
[ i luoghi] Immaginando i “luoghi”in cui
l’ANPI debba agire, noi pensiamo come necessario interlocutore alle istituzioni
cui chiediamo di mostrare il vero volto antifascista, e pensiamo anche alle
piazze, alle strade, alle aule delle università, ai luoghi di lavoro, alle
periferie, ai gradini su cui stravacca i suoi giorni chi ha rinunciato sia allo
studio sia alla ricerca del lavoro.
Pensiamo
soprattutto che l’ANPI debba farsi largo in un “luogo interiore” : quella della coscienza dei cittadini. La dismissione della capacità, della fatica
e della responsabilità del pensare, che, già alla base del nazifascismo,
rischia di riproporsi oggi, quando la desistenza rispetto al sogno della Liberazione
dell’uomo rischia di farci più poveri, più soli, più schiavi.
[ bella ciao ] Conosciamo l’incip di Bella ciao che, con la
semplice frase “una mattina mi son svegliato ci chiama oggi ad un risveglio
interiore, in grado di posare sul mondo un punto di vista non viziato e non
subalterno, così costruire, a partire da noi stessi, un paradigma antropologico
smarcato dall’egoismo e dal servilismo sociale, per riuscire a leggere, nella
stringente brutale necessità dell’oggi, l’ansia e il bisogno di un futuro
migliore.
Una
parola per chiudere ?
Tra
le tante che vorremmo traghettare dall’una all’altra generazione, dal vecchio
secolo al nuovo, abbiamo scelto la antica parola di origine greca ANABASI che indica bene il compito cui
siamo chiamati :
-uscire uscire dall’ombra
-camminare a testa alta
-risalire oltre
-cercare, affrontando i rischi
di un viaggio lungo e difficile, la patria che abbiamo nel cuore e l’orizzonte
che abbiamo in testa.
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