Pubblichiamo integralmente l'intervento svolto da Franco Osculati delegato della sezione Onorina Pesce Brambilla al Congresso Provinciale ANPI ( 19 e 20 marzo ) ringraziandolo per l'efficacia e la limpidezza con cui ha esposto le nostre ragioni per il NO al referendum costituzionale.
Vengo subito al dunque. Se l’Anpi
non ci fosse bisognerebbe crearla perché l’Anpi è una delle pochissime voci che
ci parlano della democrazia e di democrazia. Questo avviene in un momento in
cui la democrazia, che dovrebbe essere un mito trainante ovvero un valore
fondante di ogni Paese moderno, è in difficoltà. La democrazia oggi è tenuta in
scarsa considerazione anzitutto per questioni sociologiche. Viviamo in una
situazione di individualismo esasperato.
Nella storia altri momenti e altri
contesti hanno visto grande individualismo. Il grande pensatore francese Alexis
de Toqueville nel suo celebre viaggio in America, siamo nell’800, trovò una
società molto individualista, individualista sì ma di un individualismo
temperato dallo spirito patriottico e da ciò che oggi chiameremmo capitale
sociale, ovvero dalla spinta diffusa e convinta all’associazionismo
disinteressato e filantropico. Ricordo che il patriottismo è ben diverso dal
nazionalismo. Anche ai tempi del’Unione Sovietica la seconda guerra mondiale veniva
ricordata come “guerra patriottica”. Patriottismo è semplicemente vedersi
inseriti in destino comune.
Non vediamo in giro grande
slancio per le questioni che vanno minimamente al di là degli interessi
egoistici dei singoli o delle singole famiglie. L’individualismo si proietta e
deriva anche in quanto e da quanto succede nei quartieri alti del potere. Non è
senza significato che nella nuova versione delle “facilitazioni monetarie” o quantitative easing la Banca centrale
europea potrà acquistare direttamente titoli per esempio della Volkswagen ma
non titoli del Tesoro italiano che per esempio potrebbero essere necessari per
costruire una scuola o un ospedale.
Non a caso sta venendo meno anche
lo spirito europeo, o il patriottismo europeo che noi italiani avevamo anche in
misura superiore ad altri popoli.
E’ questo è grave perché sappiamo
che gli Stati nazionali ormai poco possono fare per contrastare derive globali
quali in particolare la forte polarizzazione del benessere, dei redditi e dei
patrimoni. Molto delle nostra condizioni di vita dipende da decisioni opache
assunte più o meno consapevolmente in sedi diverse da istituzioni pubbliche
trasparenti, criticabili e controllabili. Il peggio è che non si cerca di
invertire la tendenza ponendo chiaramente a livello europeo il tema del governo
democratico e salvaguardando, o come sarebbe auspicabile, migliorando sul piano
interno gli spazi di democrazia.
Si vuole invece modificare nel
profondo la Costituzione, così come le destra ha sempre cercato da fare fin dal
suo varo nel 1948. E come oggi chiedono alcune potentati finanziari mondiali
che cercano di lasciarci credere che le regole dell’economia - in questo caso
sono, di fatto, le regole della speculazione - siano adatte per anche per
orientare ogni aspetto delle vita dei popoli.
Certo c’è un legame tra le
condizioni economiche delle persone e la democrazia. Inutile ripercorrere gli
esempi storici di questa realtà. Ma non pensiamo affatto che i mali
dell’economia si correggano con la riduzione della democrazia, essendo il
restringimento della democrazia il vero volto della governabilità che è la
parola ricorrente ovvero il concetto sbandierato a giustificazione della
riforma costituzionale in atto.
E’ vero che la Costituzione e i
sistemi elettorali devono approdare a un compromesso virtuoso tra
rappresentanza e governabilità. E dunque, tanto per incominciare, ci domandiamo:
quando l’Italia nel corso degli anni ’50 e ’60 è diventata la sesta potenza
industriale del mondo, in quella Costituzione del 1948 non c’era abbastanza
governabilità? E, per arrivare ai giorni nostri, quando recentemente il Governo
in carica si è vantato di avere approvato in soli due anni molte e molte leggi
importanti, questo non è avvenuto in un assetto costituzionale bicamerale?
Porre queste domande non vuole
dire sostenere la permanenza dell’attuale Senato. La maggior parte dei
costituzionalisti e altri studiosi che già si sono pronunciati per il no al
prossimo referendum sulla riforma costituzionale sostengono in monocameralismo.
Del resto una sola Camera era tra le ipotesi della Costituente. Infatti anche
con una sola Camera possono egregiamente operare dei correttivi all’eventuale
uso distorto del potere da parte della maggioranza.
Nella riforma ora quasi alla sua
approvazione definitiva, invece, abbiamo sia la riduzione del potere del voto
popolare, sia la permanenza del Senato. Una prima importante conseguenza è che
si complica il processo legislativo. Per rendersene conto basta leggere il
testo del vigente art. 70 e il testo del nuovo art. 70.
Il nuovo Senato potrebbe avere
una giustificazione se ad esso fosse assegnato il compito, in Italia molto
delicato date le forte differenze territoriali, di deliberare in ordine alla
distribuzione delle basi imponibili e dei finanziamenti tra lo Stato centrale e
le varie Regioni e autonomie territoriali. Ma proprio questo compito, che si
definisce della perequazione, è negato al nuovi Senato.
Dunque non si sta né
semplificando, né rendendo meglio leggibile il sistema. E ciò – contraddittoriamente
– in nome della governabilità.
Il punto è che ci si affida ad
una concezione per così dire meccanica della governabilità. Ma quel che conta,
in questa come in tante altre materie, è la sostanza.
Si lascia intendere che per
essere governabile un sistema deve essere veloce. Abbiamo già detto che come
dato di fatto risulta che quando c’è stata la volontà politica l’approvazione
delle leggi non ha subito ritardi. Quindi la questione vera è quali leggi?
E’ difficile accettare che alla
riforma costituzionale si aggiunga un sistema elettorale che potenzialmente e
probabilmente assegna quasi tutto il potere ad un solo partito, e al suo gruppo
dirigente o di dominio, anche se i voti raccolti da questo partito possono
essere una forte minoranza dei voti degli aventi diritto. Le leggi e
segnatamente le leggi importanti richiedono non solo di essere approvate e
promulgate ma anche – direi soprattutto – applicate. Uno dei mali del nostro
Paese è costituito dalle riforme lasciate a metà. Si vara una legge e poi, in
periferia, sul territorio o nelle sedi interessate alla materia della legge, si fa di tutto per aggirare e rinviare. La
volontà politica per migliorare deve essere ampia e diffusa. Il cambiamento,
anche il cambiamento verso il meglio, non può essere imposto per decreto.
Raccogliendo una minoranza di voti sarà facile arrivare al potere. Rimarrà
difficile governare e risolvere i nostri mali antichi, dalla corruzione
all’evasione e alla criminalità organizzata, e magari anche le questioni più
recenti, come, lasciatemelo, dire la crescente ignoranza.
Trovo inoltre molto negativo che
il sistema elettorale noto come Italicum assegni ad alcune forze politiche
un’eterna condanna alla rinuncia al cimento e alla responsabilità del governo.
Quale è stato il principale punto debole della prima Repubblica? Senz’altro la
convenzione ad escludere i comunisti, nonostante che il Pci raccogliesse più o
meno stabilmente all’incirca un terzo dei voti in elezioni molto più partecipate di quelle che
si sono tenute negli ultimi anni. Inutile aggiungere in questa sede che l’unica
eccezione, sacrosanta, al discorso di non chiudere le porte del potere a alcuna
forza politica riguarda i fascisti, anche nelle nuove versioni purtroppo
presenti in Italia e in Europa.
E’ stato scritto e ripetuto che
la Costituzione del 1948, specialmente con suo bicameralismo, è il frutto della
diffidenza incrociata di De Gasperi e di Togliatti. Se fosse vero potremmo
concludere che talora anche sentimenti quasi torbidi, come per l’appunto la
diffidenza, possono avere un seguito positivo. E allora oggi dovremmo essere
cauti, molto cauti. Una Costituzione può essere modificata, non stravolta se è
la Costituzione repubblicana nata dalla Resistenza, ma la Costituzione va
intesa come scritta nella roccia. La Costituzione non è la legge finanziaria
che si cambia tutti gli anni. La Costituzione è per sempre. La Costituzione è
il principale strumento di chi vince le elezioni. Potrà essere Renzi, ma prima
o poi potrebbe essere uno come Salvini o come Casaleggio. Attenzione, si è
fatto di tutto per screditare le ideologie e quindi, anche per questo, ci
ritroviamo con un elettorato facile preda delle suggestioni e delle emozioni,
anche di quelle che si possono generare negli ultimi giorni di campagna
elettorale in relazione a fatti importanti ma non decisivi. Siamo sicuri che –
Dio scampi - un “Bataclan” tre giorni prima delle elezioni non sposti milioni
di voti? Proprio questa considerazione che è alla base di ogni idea giuridica e
pratica della democrazia ma fa dire che la decisione di Renzi di presentare il
referendum costituzionale come un giudizio su di lui, sulla sua politica e sul
suo Governo è un errore fondamentale. Bisogna votare no anche per impedire a
Renzi di realizzare un errore storico imperdonabile.
La nuova legge elettorale e la
riforma costituzionale in sostanza restringono l’area del potere e alzano
diaframmi tra il potere e il popolo. E’ sbagliato perché andiamo verso tempo
difficili nei quali ci sarà bisogno del contributo di tutti, nella normale dialettica
maggioranza e opposizione, destra e sinistra. Nell’ultimo libro di Claudio
Magris (Non luogo a procedere) , che
descrive tra l’altro quanto avvenne a Trieste negli ultimi giorni di guerra, ad
un certo punto compare la seguente riflessione: “Per fare la guerra non c’è
bisogno dell’odio”. E’ vero, nel passato si è arrivati alla guerra senza
neppure un grande investimento emotivo. Sono bastati gli interessi di taluni. Attenzione,
viviamo in tempi difficile, non è garantito che in futuro non si rotoli ancora
una volta verso il peggio, quasi senza accorgersene. Abbiamo un antidoto che è
la democrazia. Abbiamo un protagonista nella difesa della democrazia. E’
l’Anpi. Ora e sempre viva l’Anpi.
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