Pubblichiamo l'intervento svolto al Congresso Provinciale ANPI (19-20 marzo) da LUCA CASAROTTI a nome della sezione Onorina Pesce Brambilla
Care compagne e cari compagni,
la gioia con cui intervengo a questo congresso è pari solo
ad un certo timore reverenziale: sono infatti il più giovane delegato a
prendere oggi la parola; compirò in aprile i ventisette anni. Allo stesso
tempo, ecco il motivo di gioia, spero che questo mio piccolo contributo vada
nel senso dell’apertura dell’ANPI ai giovani più volte evocata sia nel
documento congressuale sia negli interventi di chi mi ha preceduto.Vorrei per
prima cosa fermare l’attenzione su una delle parole chiave sottese proprio al
documento congressuale che stiamo discutendo: il termine “legalità”. E vorrei
farlo
portando nel dibattito il punto di vista che mi è più familiare: quello
degli studi giuridici. È costante l’invito della parte più viva e avanzata
della dottrina e della giurisprudenza a non rinunciare, in nome del principio
di legalità, ad un vaglio critico delle regole. Critica del diritto si intitolava un’autorevole rivista pubblicata
alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, la cui redazione era composta da
filosofi, politologi e giuristi: tra questi ultimi, è
doveroso ricordare il nome di Emilio Alessandrini. Un altro esempio: alla critica
del diritto privato è dedicata una delle pubblicazioni animate da Stefano
Rodotà, al cui pensiero credo molte e molti di noi si sentano affini.
La legalità diventa un valore quando la si intende come il
piacere del darsi una regola, e come la consapevolezza che in ciò consiste il
momento fondativo di una communitas.
Diventa un disvalore quando ci si rassegna al fatto della esistenza di una
regola e la si rispetta sol perché è tale. L’ANPI, in ragione del connotato
valoriale che la costituisce, nel declinare il sostantivo “legalità” non deve
rinunciare all’istanza etica in cui si sostanzia l’accettazione, partigiana e
non formale, delle regole.Allontanandomi dalle questioni giuridiche, vorrei ora
spendere qualche parola sul tema delle nuove destre in Italia. L’intervento
di Marco Sannella ha mostrato la necessità di svolgere la nostra analisi in
una prospettiva internazionale, che non può permettersi di tralasciare gli
squilibri e le catene causali determinanti la crisi. In questa prospettiva deve
collocarsi l’inchiesta sui neofascismi attuali. larga parte degli studi sulle
destre radicali condotti in Italia assume un punto di vista italocentrico o al
più eurocentrico: indaga cioè il panorama dell’estrema destra avendo riguardo
alla storia politica dell’Italia o dell’Europa occidentale. In un mondo
“multipolare”, com’è stato definito, occorre allargare i confini classici
dell’indagine (alcuni autori hanno cominciato a farlo con successo), e
considerare le differenti posizioni delle destre italiane anche rispetto alla
situazione di altre parti del mondo: pensiamo alla generale fascinazione per
la figura di Vladimir Putin, o alle divergenze tra i gruppi della destra
neofascista nel conflitto ucraino, o ancora al prepotente riemergere, sul
confine orientale, di pulsioni
antislave di matrice etnica. Oppure pensiamo al fenomeno del
“rossobrunismo”, cioè il riciclo da parte dell’estrema destra, in chiave
reazionaria e nazionalista, d’un frasario e d’una simbologia di sinistra.
Fenomeno tutt’altro che nuovo (rimonta almeno agli anni ’60 del XX secolo), ma
ora fattosi più sfumato e difficile da decifrare, nel quadro del richiamato
assetto “multipolare”.
Su questi temi, la sezione ANPI Pavia centro – Onorina Pesce
Brambilla, insieme al Coordinamento per il diritto allo studio – UDU, il 14
marzo 2015 ha
organizzato un convegno che, perdonatemi il vezzo accademico, ho avuto il piacere
di presiedere [leggi qui
la relazione di Leonardo Bianchi, giornalista di Vice Italia, e qui
quella di Simone Pieranni, giornalista del Manifesto].Si
tratta insomma di evitare il riduzionismo che è proprio delle “idee senza
parole” di cui parlava il mitologo Furio Jesi, ravvisando in esse il tratto
distintivo della “Cultura di destra” (titolo di un suo libro del 1979). E si
tratta soprattutto di saper riconoscere il fascismo ovunque alligni, senza
farsi ingannare da denominazioni e stratagemmi retorici, come raccomandava di
fare Umberto Eco, che aveva a tal fine stilato quattordici
regole per scovare il fascismo eterno (lui lo chiamava “ur-fascismo”). Con la
speranza, già sottolineata
con forza da Annalisa Alessio, che la militanza sia, spinozianamente, una
forma di buona vita, vi ringrazio per l’attenzione.
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