Al Congresso Provinciale ANPI del 19/20 marzo a nome della nostra sezione Marco Sannella ha illustrato il documento integrativo sulla situazione internazionale già approvato dal congresso di sezione. Lo proponiamo in versione intergrale, specificando che il documento della nostra sezione sarà inoltrato all'ANPI Nazionale in previsione del Congresso di Rimini
Il quadro mondiale
L’accentuarsi
della crisi esplosa nel 2007, nel profilarsi di un lungo ciclo depressivo, ci
impone una valutazione circostanziata e non vagamente allusiva del fenomeno, ci impone un’articolata
segnaletica delle teorie avanzate in area democratico-progressista. Se
un’associazione, proprio per la pluralità dei suoi iscritti, deve esimersi,
salvo casi particolari, da un indirizzo univoco, deve però discutere,
valorizzare e, ove possibile, tentare sintesi tra le proposte espresse. La posta
in gioco è alta e richiama il senso della nostra appartenenza.
L’attacco
alle Costituzioni non cade dal cielo e non è un’opzione casuale delle politiche
neoliberiste. Trent’anni di affondi, di politiche contro il lavoro, di
compressione salariale, di sostegno all’impresa ed alla finanza, di
ridimensionamento drastico del welfare, di fiscalità regressiva,
d’insostenibilità ambientale, di leggi razziste, hanno talmente ridisegnato la
costituzione materiale europea da creare drastiche asimmetrie con le costituzioni
giuridiche.
Le
letture delle crisi che si pongono come alternative al pensiero unico
dominante, sia sull’articolato versante marxista, sia nell’altrettanto
articolato versante neokeynesiano, sia tra i sostenitori di un’altro New Deal o
di un nuovo intervento pubblico, sia nel contributo di singoli economisti,
necessitano di entrare nel nostro dibattito. Questa non è una necessità
accademica od un vezzo intellettuale ma è un compito elementare, in quanto,
solo un’uscita a sinistra dalla crisi, un uscita all’insegna dell’eguaglianza e
dell’inclusione, rimane l’unica risposta concreta e materiale all’insorgenza
dei fascismi, già in atto dalla Francia alla Grecia, dall’Est europeo sino alle
pulsioni fasciste e bonapartiste della nostra destra xenofoba ed eversiva. Una
politica che sappia almeno contrastare e porsi come alternativa al “fondamentalismo del mercato” per usare
un’espressione del Nobel americano Joseph Stiglitz.
Affiora,
isolata, la sola categoria analitica del “liberismo sfrenato”, che lascia
intendere l’opzione di un liberismo temperato e caritatevole. Opzione
fallimentare ove si è tentato in quanto subordinato anch’esso alle linee di
fondo di un capitalismo (altra categoria assente!) che non ha scelto la
direzione della cosiddetta ipertrofia finanziaria per una supposta perversione,
ma come scelta legate alle difficoltà di mantenere un saggio di profitto non
più sostenibile dalla sola produzione industriale.
Ci
pare quindi perlomeno surreale vagheggiare qualsiasi possibilità di un
neoliberismo “etico” e sottoposto a “regole”. La più sfrenata “deregulation” unita all’imperativo
assoluto del profitto a breve termine
sono d’altronde i tratti distintivi della realtà del capitalismo degli
ultimi 30 anni. L’ipotizzare una finanza
cattiva contro un’economia reale buona non rende conto della complessa simbiosi
di entrambe, della finanziarizzazione come risposta alle difficoltà del
capitalismo (che non è da trinariciuti nominare ogni tanto e ciò vale anche per
le scomparse classi sociali) dagli anni ’70 ed ’80, più precisamente alla
sempre più asfittica crescita, alla sempre più stentata valorizzazione del
capitale, per dirla tutta.
Il
nodo strutturale intorno all’odierna configurazione dell’Europa economica e
della moneta unica si è rivelato di totale ortodossia ai principi
dell’ideologia neoliberale. Antistorici e nefasti, risultano quindi i vincoli
di bilancio ed il più recente Fiscal Compact, abominio introdotto nella nostra
Costituzione senza la necessaria mobilitazione dei lavoratori e dei cittadini
che ne sconteranno ulteriori effetti recessivi. Il serio rischio per la tenuta
democratica in Europa va individuato nella scomparsa anche residuale di un’opposizione politica e sociale (a parte la Grecia, umiliata per
questo), nemmeno un’opinione pubblica pare più esistere; come se non bastassero
da soli, sempre per la tenuta democratica, gli oltre 19 milioni di disoccupati
dell’area (11 milioni nel 2007), ed i 3 milioni in Italia (1,5 nel 2007),
assieme alla sempre più marcata divergenza tra le economie dell’eurozona.
Riguardo
alle “zone di guerra in atto” e “all’esplosione dei peggiori fondamentalismi”
manca la necessaria contestualizzazione sul lungo e medio periodo. La nuova
fase geopolitica mondiale, innescata nell’89 con la caduta del Muro di Berlino
e soprattutto il 1991, con la Prima Guerra
del Golfo, aprono una fase storica nuova gravida di conseguenza non ancora
ipotizzabili nei suoi esiti. Le successive guerre sotto comando Usa, mascherate
e mimetizzate come guerre umanitarie, di democrazia esportata: Jugoslavia 1999,
Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, sino alla più complessa Siria 2013,
determinano la cornice di un evidente acutizzarsi del fenomeno Jiahdista. Tra
l’altro è bene ricordare che la
Guerra del Golfo è la prima guerra in cui l’Italia partecipa
violando l’articolo 11 della Costituzione. Questo il contesto del nuovo ordine
mondiale, al di fuori del quale si perde il senso e la realtà dell’attuale
mondo post-bipolare con tutti i sottintesi economici. L’ha capito un diretto
responsabile come George Blair, il nesso terrorismo/squilibrio del mondo
arabo-islamico, nesso che si estendo al nord Africa, è strettamente legato
all’ininterrotta guerra che continua dal 1991. Nessun accenno a ciò ritroviamo
nel documento congressuale, manca quindi quella che dovrebbe essere l’ossatura
centrale del capitolo sul quadro mondiale; ne risulta, inevitabilmente, una
descrizione disarticolata e non priva di argomentazioni discutibili.
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