lunedì 21 marzo 2016

CONGRESSO ANPI : NOTE SULLA SITUAZIONE INTERNAZIONALE



Al Congresso Provinciale ANPI del 19/20 marzo a nome della nostra sezione Marco Sannella ha illustrato il documento integrativo sulla situazione internazionale già approvato dal congresso di sezione. Lo proponiamo in versione intergrale, specificando che il documento della nostra sezione sarà inoltrato all'ANPI Nazionale in previsione del Congresso di Rimini

Il quadro mondiale

L’accentuarsi della crisi esplosa nel 2007, nel profilarsi di un lungo ciclo depressivo, ci impone una valutazione circostanziata e non vagamente allusiva  del fenomeno, ci impone un’articolata segnaletica delle teorie avanzate in area democratico-progressista. Se un’associazione, proprio per la pluralità dei suoi iscritti, deve esimersi, salvo casi particolari, da un indirizzo univoco, deve però discutere, valorizzare e, ove possibile, tentare sintesi tra le proposte espresse. La posta in gioco è alta e richiama il senso della nostra appartenenza.

L’attacco alle Costituzioni non cade dal cielo e non è un’opzione casuale delle politiche neoliberiste. Trent’anni di affondi, di politiche contro il lavoro, di compressione salariale, di sostegno all’impresa ed alla finanza, di ridimensionamento drastico del welfare, di fiscalità regressiva, d’insostenibilità ambientale, di leggi razziste, hanno talmente ridisegnato la costituzione materiale europea da creare drastiche asimmetrie con le costituzioni giuridiche.

Le letture delle crisi che si pongono come alternative al pensiero unico dominante, sia sull’articolato versante marxista, sia nell’altrettanto articolato versante neokeynesiano, sia tra i sostenitori di un’altro New Deal o di un nuovo intervento pubblico, sia nel contributo di singoli economisti, necessitano di entrare nel nostro dibattito. Questa non è una necessità accademica od un vezzo intellettuale ma è un compito elementare, in quanto, solo un’uscita a sinistra dalla crisi, un uscita all’insegna dell’eguaglianza e dell’inclusione, rimane l’unica risposta concreta e materiale all’insorgenza dei fascismi, già in atto dalla Francia alla Grecia, dall’Est europeo sino alle pulsioni fasciste e bonapartiste della nostra destra xenofoba ed eversiva. Una politica che sappia almeno contrastare e porsi come alternativa al “fondamentalismo del mercato” per usare un’espressione del Nobel americano Joseph Stiglitz.

Affiora, isolata, la sola categoria analitica del “liberismo sfrenato”, che lascia intendere l’opzione di un liberismo temperato e caritatevole. Opzione fallimentare ove si è tentato in quanto subordinato anch’esso alle linee di fondo di un capitalismo (altra categoria assente!) che non ha scelto la direzione della cosiddetta ipertrofia finanziaria per una supposta perversione, ma come scelta legate alle difficoltà di mantenere un saggio di profitto non più sostenibile dalla sola produzione industriale.

Ci pare quindi perlomeno surreale vagheggiare qualsiasi possibilità di un neoliberismo “etico” e sottoposto a “regole”. La più sfrenata “deregulation” unita all’imperativo assoluto del profitto a breve termine  sono d’altronde i tratti distintivi della realtà del capitalismo degli ultimi 30 anni. L’ipotizzare  una finanza cattiva contro un’economia reale buona non rende conto della complessa simbiosi di entrambe, della finanziarizzazione come risposta alle difficoltà del capitalismo (che non è da trinariciuti nominare ogni tanto e ciò vale anche per le scomparse classi sociali) dagli anni ’70 ed ’80, più precisamente alla sempre più asfittica crescita, alla sempre più stentata valorizzazione del capitale, per dirla tutta.



Il nodo strutturale intorno all’odierna configurazione dell’Europa economica e della moneta unica si è rivelato di totale ortodossia ai principi dell’ideologia neoliberale. Antistorici e nefasti, risultano quindi i vincoli di bilancio ed il più recente Fiscal Compact, abominio introdotto nella nostra Costituzione senza la necessaria mobilitazione dei lavoratori e dei cittadini che ne sconteranno ulteriori effetti recessivi. Il serio rischio per la tenuta democratica in Europa va individuato nella scomparsa anche residuale di  un’opposizione politica e sociale (a parte la Grecia, umiliata per questo), nemmeno un’opinione pubblica pare più esistere; come se non bastassero da soli, sempre per la tenuta democratica, gli oltre 19 milioni di disoccupati dell’area (11 milioni nel 2007), ed i 3 milioni in Italia (1,5 nel 2007), assieme alla sempre più marcata divergenza tra le economie dell’eurozona.



Riguardo alle “zone di guerra in atto” e “all’esplosione dei peggiori fondamentalismi” manca la necessaria contestualizzazione sul lungo e medio periodo. La nuova fase geopolitica mondiale, innescata nell’89 con la caduta del Muro di Berlino e soprattutto il 1991, con la Prima Guerra del Golfo, aprono una fase storica nuova gravida di conseguenza non ancora ipotizzabili nei suoi esiti. Le successive guerre sotto comando Usa, mascherate e mimetizzate come guerre umanitarie, di democrazia esportata: Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, sino alla più complessa Siria 2013, determinano la cornice di un evidente acutizzarsi del fenomeno Jiahdista. Tra l’altro è bene ricordare che la Guerra del Golfo è la prima guerra in cui l’Italia partecipa violando l’articolo 11 della Costituzione. Questo il contesto del nuovo ordine mondiale, al di fuori del quale si perde il senso e la realtà dell’attuale mondo post-bipolare con tutti i sottintesi economici. L’ha capito un diretto responsabile come George Blair, il nesso terrorismo/squilibrio del mondo arabo-islamico, nesso che si estendo al nord Africa, è strettamente legato all’ininterrotta guerra che continua dal 1991. Nessun accenno a ciò ritroviamo nel documento congressuale, manca quindi quella che dovrebbe essere l’ossatura centrale del capitolo sul quadro mondiale; ne risulta, inevitabilmente, una descrizione disarticolata e non priva di argomentazioni discutibili.

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