Pubblichiamo uno stralcio dell'intervento di apertura al convegno di stamattina ( 18 aprile 2015) organizzato dalla sezione Onorina Pesce su Ferruccio Ghinagma, antifascista e rivoluzionario.
.....Il convegno è una occasione per riannodare il filo della conoscenza
attorno al giovane cremonese che fu per anni il simbolo più caro
dell’antifascismo pavese.
E’ l’ottobre 1920. Si ammaniano le
bandiere rosse poste sui tetti delle fabbriche nelle settimane dell'occupazione, si spengono le ultime scintille del biennio rosso. Ghinaglia sente tutta l'amarezza di questo momento.
Su Vedetta Rossa scrive infatti : “le fabbriche che erano diventate fortezze
nelle mani degli operai tornano di nuovo nelle mani dei padroni. Quelle armi
che erano nostre e che noi impugnavamo le impugnerà forse un giorno la
borghesia contro di noi”.
Ghinaglia indirizza queste parole ai
dirigenti del partito socialista, esplicitamente accusandoli di aver rinviato
l’ora della rivoluzione proletaria, disperdendo nella accettazione delle sole
rivendicazioni economiche il potenziale rivoluzionario, il sogno leninista che
serpeggiava come imminente e praticabile utopia tra i braccianti in sciopero
nella Lomellina rossa di Carlo Lombardi e di Egisto Cagnoni e tra gli operai
che occupando le fabbriche, tra il 1919 e il 1920, immaginavano possibile un
radicale rovesciamento dei rapporti della produzione e della politica.
A sorreggere ed animare lo scritto di
Ghinaglia è il bisogno di un nuovo partito, di una nuova avanguardia politica
ed organizzativa capace di orientare, dirigere e diffondere la parola d’ordine
dell’internazionale comunista.
Sono i giorni che precedono la
scissione di Livorno e Ghinaglia, con il cuore e il cervello, è tutto per il
nuovo partito, che sarà, dovrà essere lo strumento politico di cui i proletari
italiani hanno bisogno per non perdere l’occasione storica di una rivoluzione
che gli sembra ineludibile e straordinariamente vicina.
Non sarà così.
Già mentre nasce il nuovo partito, lo
squadrismo fascista sta accelerando il suo passo, finanziato dagli agrari e
larvatamente sostenuto dalle lobby del balbettante capitalismo che individuano
nei manganelli e nelle pistole delle camice nere le necessarie medicine per
ripristinare l’onnipotenza padronale e stroncare anche la sola idea della
rivoluzione socialista.
Mentre Ghinaglia scrive, prende la
parola in cento comizi, partecipa a mille manifestazioni, il fascismo ha già
esattamente individuato in lui l'
avversario di classe da stroncare e da eliminare.
L’assassinio di Ghinaglia segna un
salto di qualità nel fascismo della nostra provincia. Da fenomeno criminoso
concentrato nelle sole campagne, passa il fiume, diventa fascismo urbano che
dilagherà nelle prefetture e nei municipi del Paese, costellando la sua marcia
di morti proletarie, quella di Maria Monchietti, ad esempio, uccisa a Ceretto
nel corso della rappresaglia fascista contro il paese colpevole di aver votato in
massa per i socialisti, quella di Giovanni Salvadeo capo delle leghe contadine
ucciso a mazzate il 27 aprile ’21 a Lomello, quella di Battista Gobbi,
socialista, di Cergnago, finito a pugnalate, quella di Spartaco Lavagnini
sindacalista comunista di Firenze.
Sono morti dimenticate. Troppo spesso
esse finiscono negli angoli bui della storia, o che, se ricordate, vengono
fatte oggetto di una generica pietà per i defunti – un po’ come accade quando
si accomunano morti partigiane e morti fasciste – o collocate in un quadro
storico di pesante revisionismo come accade nel libro di Pansa che, ambientato
in Lomellina, descrive braccianti e salariati in sciopero, donne e uomini senza
pane e senza terra, che fanno delle loro cascine e case del popolo l’ultima trincea
contro lo squadrismo fascista come personaggi ambigui che "avevano la pistola facile e sparacchiavano
senza pietà”.
La ragione per cui abbiamo voluto
organizzare questa iniziativa è quella di restituire alla nostra città l’immagine
viva di Ghinaglia e della sua stagione storica, insieme alla memoria dei tanti
morti ammazzati negli anni di piombo della nascente dittatura, che non fu certo
un infausto inciampo della storia ma il prodotto preciso della reazione
padronale per la quale anche la fragile democrazia degli anni ’20 era di
ostacolo alla propria “onnipotenza” – come scrive Angelo Tasca in Nascita e
Avvento del fascismo.
Oggi l’ANPI ricorda Ghinaglia nella
“sua” città che, non diversamente da quanto accade in tutto il Paese, è stata
teatro delle gesta della destra del III millennio che declina parole d’ordine
razziste e xenofobe, generatrici di una insensata lotta tra poveri, avvelenando
il cuore e corrompendo il costume di un Paese disorientato e impaurito dalla
recessione.
Anche per questo è oggi necessario
ricordare Ghinaglia.
E più che mai è necessario ricostruire
la tela di una unità antifascista allentata negli anni, tornando
all’antifascismo come radice della Repubblica e lessico fondante della
democrazia.
La democrazia che vogliamo e che rappresenta
il migliore antidoto ad ogni risorgente fascismo è una democrazia piena e
allargata, partecipata e sostanziale, che viva della libertà DAL bisogno, che
riconosca diritto e dignità al lavoro, che assicuri uguaglianza e rispetto ad
ogni persona, e che soprattutto non smantelli e non svuoti di rappresentanza
quelle istituzioni che furono frutto della conquista dei venti mesi combattuti
per la libertà.
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