La storia partigiana di CARLO PIETRA, nel ricordo della figlia, iscritta alla sezione ANPI Pavia.
CARLOPIETRA in una manifestazione dell'ANPI. Al collo, il fazzoletto dell'ANED. |
"Dopo l’arresto in una retata a Pavia nel
gennaio del ‘44, arruolato a forza in un distaccamento nella Wehrmacht, mio padre CARLO PIETRA è
riuscito a scappare dalla caserma tedesca di Este (Padova) e si è aggregato
alle Brigate Matteotti della zona di Montagnana e Castelbardo.
Di qui è partito
per scortare fino a Legnago un aviatore inglese. Lo ha tradito una spia. E’
finito ancora in mani tedesche, prigioniero nel campo di sterminio di transito
di Bolzano. Era prigioniero politico. Come tutti "i politici", sulla sua giubba era cucito un pezzo di stoffa rozzamente tagliata a forma di triangolo.
Di colore rosso. Quasi uno sfregio all’antica bandiera rossa che mio padre
aveva nel cuore. Il triangolo rosso, ben visibile anche in mezzo alla neve e al
fango del campo di Bolzano, è il marchio della condanna a morte. Sicuramente
mio padre sapeva che prima o poi, insieme ad altri politici e a centinaia di
ebrei, un mitra tedesco lo avrebbe spinto alla schiena, costretto a salire su
uno dei camion che ogni giorno partivano in lunghe colonne lungo le piste
ghiacciate dell’est diretti a Mauthausen e Dachau.
Laggiù i forni bruciavano giorno e notte.
Mio
padre ci ha raccontato ben poco anche dell’incontro che ha deciso della sua
vita. Da quattro mesi aveva in pancia
solo i fetidi crauti bolliti che erano tutto il cibo dei deportati. E
nonostante la fame e la debolezza doveva lavorare. “Dovevo pulire un
magazzino pieno di attrezzi, macchinari, ferraglia.” Solo questo ci ha
detto. Ma ha incontrato un uomo nel magazzino.
Un civile. Un operaio della Lancia ammesso ogni tanto nel campo per
scambi di materiale. Questo operaio fa parte di una cellula clandestina di
Resistenza? Mio padre non ci ha mai detto niente, ma tra loro deve essersi
incrociato uno sguardo, una promessa.
Infatti
quando scappa dal campo, al di là dell’Adige, sono i lavoratori della Lancia a
nasconderlo.…”sei dei nostri?! ma eri
partigiano?” “ Si partigiano, mi
chiamano Scampolo, ero con la Matteotti in Veneto, con i Garibaldini a casa
mia, in Lombardia.” “Allora compagno
ti aiutiamo noi, ti mettiamo sulla strada giusta, fino a Verona, va bene?, ti
facciamo passare come secondo autista sul camion’”
Nella
storia di mio padre ci sono spazi vuoti. E lunghi periodi di tempo senza
parole. Di certo, come testimonia la sua qualifica di partigiano combattente
rilasciata sia dalla Commissione Regionale del Veneto sia dalla Commissione
Regionale di Lombardia,
dopo la deportazione e la fuga, mio padre riprende i
contatti nella Resistenza. Si sposta tra Veneto e Lombardia per continuare il
lungo lavoro della lotta di liberazione. Torna a Pavia, con i documenti falsi
forniti dal comando partigiano del Veneto, solo poco prima dell’insurrezione
generale. Ci ha raccontato che si nascondeva alla Frigirola, che usciva di
notte per le azioni militari, ma non sappiamo in quale di queste azioni sia
stato ferito al costato. Sappiamo però che la ferita non lo ha fermato, se ne è
scappato anche dall’ospedale per tornare a combattere e ha combattuto fino
all’ultimo giorno. Insieme ai Garibaldini della 168°. Ai suoi compagni di
sempre".
Documento della sezione ANED di Pavia,intestato a Carlo Pietra |
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