mercoledì 28 gennaio 2015

CARLO PIETRA-PARTIGIANO NEL RICORDO DELLA FIGLIA



La storia partigiana di CARLO PIETRA, nel ricordo della figlia, iscritta alla sezione ANPI Pavia.
CARLOPIETRA in una manifestazione dell'ANPI. Al collo, il fazzoletto dell'ANED.
 "Dopo l’arresto in una retata a Pavia nel gennaio del ‘44, arruolato a forza in un distaccamento nella Wehrmacht, mio padre CARLO PIETRA è riuscito a scappare dalla caserma tedesca di Este (Padova) e si è aggregato alle Brigate Matteotti della zona di Montagnana e Castelbardo.

 Di qui è partito per scortare fino a Legnago un aviatore inglese. Lo ha tradito una spia. E’ finito ancora in mani tedesche, prigioniero nel campo di sterminio di transito di Bolzano. Era prigioniero politico. Come tutti "i politici", sulla sua giubba era cucito un pezzo di stoffa rozzamente tagliata a forma di triangolo. Di colore rosso. Quasi uno sfregio all’antica bandiera rossa che mio padre aveva nel cuore. Il triangolo rosso, ben visibile anche in mezzo alla neve e al fango del campo di Bolzano, è il marchio della condanna a morte. Sicuramente mio padre sapeva che prima o poi, insieme ad altri politici e a centinaia di ebrei, un mitra tedesco lo avrebbe spinto alla schiena, costretto a salire su uno dei camion che ogni giorno partivano in lunghe colonne lungo le piste ghiacciate dell’est diretti a Mauthausen e Dachau. Laggiù i forni bruciavano giorno e notte.
Mio padre ci ha raccontato ben poco anche dell’incontro che ha deciso della sua vita.  Da quattro mesi aveva in pancia solo i fetidi crauti bolliti che erano tutto il cibo dei deportati. E nonostante la fame e la debolezza doveva lavorare. “Dovevo pulire un magazzino pieno di attrezzi, macchinari, ferraglia.” Solo questo ci ha detto. Ma ha incontrato un uomo nel magazzino.  Un civile. Un operaio della Lancia ammesso ogni tanto nel campo per scambi di materiale. Questo operaio fa parte di una cellula clandestina di Resistenza? Mio padre non ci ha mai detto niente, ma tra loro deve essersi incrociato uno sguardo, una promessa.

Infatti quando scappa dal campo, al di là dell’Adige, sono i lavoratori della Lancia a nasconderlo.…”sei dei nostri?! ma eri partigiano?” Si partigiano, mi chiamano Scampolo, ero con la Matteotti in Veneto, con i Garibaldini a casa mia, in Lombardia.” “Allora compagno ti aiutiamo noi, ti mettiamo sulla strada giusta, fino a Verona, va bene?, ti facciamo passare come secondo autista sul camion’”

Nella storia di mio padre ci sono spazi vuoti. E lunghi periodi di tempo senza parole. Di certo, come testimonia la sua qualifica di partigiano combattente rilasciata sia dalla Commissione Regionale del Veneto sia dalla Commissione Regionale di Lombardia,
Documento della sezione ANED di Pavia,intestato a Carlo Pietra
dopo la deportazione e la fuga, mio padre riprende i contatti nella Resistenza. Si sposta tra Veneto e Lombardia per continuare il lungo lavoro della lotta di liberazione. Torna a Pavia, con i documenti falsi forniti dal comando partigiano del Veneto, solo poco prima dell’insurrezione generale. Ci ha raccontato che si nascondeva alla Frigirola, che usciva di notte per le azioni militari, ma non sappiamo in quale di queste azioni sia stato ferito al costato. Sappiamo però che la ferita non lo ha fermato, se ne è scappato anche dall’ospedale per tornare a combattere e ha combattuto fino all’ultimo giorno. Insieme ai Garibaldini della 168°. Ai suoi compagni di sempre".

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