giovedì 25 giugno 2015

LIBRI PER IL SETTANTESIMO:recensione.


Riceviamo e pubblichiamo volentieri la recensione di Marco Sannella del direttivo della nostra sezione al libro "IL TEMPO MIGLIORE DELLA NOSTRA VITA" .
Tra le varie proposte sui settant'anni del 25 aprile 1945 segnaliamo per originalità di argomento e per l'appassionata lettura al quale si presta il romanzo/autobiografia di Leone Ginzburg a cura di Antonio Scurati, Il Tempo Migliore della Nostra Vita, Bompiani 2015.


Per la verità la vita del letterato ed antifascista Leone Ginzburg s'interseca con quella dei genitori di Scurati stesso, creando sovrapposizioni temporali e sovrapposizioni tra storia minuta e storia dei grandi eventi di difficilissimo equilibrio. La difficile architettura sul quale si regge lo scritto di Scurati trasforma però una difficoltà in un gioco narrativo sapiente, in una polifonia di vicende che si risaltano nella distanza delle scelte.
L'esemplare vicenda umana e politica di Leone Ginzburg, sconosciuta ai più, soprattutto alle nuove generazioni, è esemplare per più motivi. Rappresentò uno dei dodici (!?) NO al giuramento fascista e nonostante il carcere ed il confino non cedette e non diminuì  nell'impegno filologico, letterario, di educazione editoriale sino all'occasione della militanza clandestina antifascista; coraggio e saldezza etica anche difronte all'indicibile della tortura nazifascista al quale seguì l'agonia e la morte nel febbraio 1944.
Esemplare ancor più  se rapportata ad una pressoché unanime prova di grettezza e povertà di “pensiero” dell’intellighenzia italiana nel suo insieme.
Certo una più accurata contestualizzazione nel “passare al contropelo” (per dirla alla W. Benjamin) i più inveterati e ricorrenti atteggiamenti della nostra intellighenzia, tale da farne una tradizione che arriva sino ad oggi, avrebbe posizionato con maggior nettezza la figura di Leone Ginzburg, per questo la riflessione di Gramsci (ma anche le precedenti di Labriola) sono imprescindibili. E Gramsci non è stato solo il più importante intellettuale del nostro novecento, è stato in primis un militante politico, un militante che organizzava la resistenza al fascismo, e come Gobetti, proprio per questo ha pagato, in un crescendo di sofferenze non solo fisiche,  con la vita.
E l’errore di Julien Benda, parlando del tradimento dei chierici, non riguarda il loro “schierarsi” politicamente ma riguarda la loro continua acquiescenza all’ideologia dominante di turno.
Nei Quaderni del carcere, Gramsci, parla di un ceto sociale contraddistinto da inveterato ‘trasformismo’, da superficialità di pensiero, da mancanza di carattere; un’intellighenzia segnata dalla Controriforma, nonché dal moderatismo ottocentesco (in cui finivano a cadere anche i più arrabbiati “radicali”), con la consuetudine della diffusione e riciclaggio di brandelli dell’ideologia dominante, in realtà mode ormai scadute all’estero, supportate da grandi dosi di labilità e meschinità intellettuale.

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