Riceviamo e pubblichiamo volentieri la recensione di Marco Sannella del direttivo della nostra sezione al libro "IL TEMPO MIGLIORE DELLA NOSTRA VITA" .
Tra le varie proposte sui settant'anni del 25 aprile 1945 segnaliamo per originalità di
argomento e per l'appassionata lettura al quale si presta il
romanzo/autobiografia di Leone Ginzburg a cura di Antonio Scurati, Il Tempo
Migliore della Nostra Vita, Bompiani 2015.
Per la verità la vita del letterato ed antifascista
Leone Ginzburg s'interseca con quella dei genitori di Scurati stesso, creando
sovrapposizioni temporali e sovrapposizioni tra storia minuta e storia dei
grandi eventi di difficilissimo equilibrio. La difficile architettura sul quale
si regge lo scritto di Scurati trasforma però una difficoltà in un gioco
narrativo sapiente, in una polifonia di vicende che si risaltano nella distanza
delle scelte.
L'esemplare vicenda umana e politica di Leone Ginzburg,
sconosciuta ai più, soprattutto alle nuove generazioni, è esemplare per più
motivi. Rappresentò uno dei dodici (!?) NO al giuramento fascista e nonostante
il carcere ed il confino non cedette e non diminuì nell'impegno
filologico, letterario, di educazione editoriale sino all'occasione della
militanza clandestina antifascista; coraggio e saldezza etica anche difronte
all'indicibile della tortura nazifascista al quale seguì l'agonia e la morte
nel febbraio 1944.
Esemplare ancor più se rapportata ad una
pressoché unanime prova di grettezza e povertà di “pensiero”
dell’intellighenzia italiana nel suo insieme.
Certo una più accurata contestualizzazione nel
“passare al contropelo” (per dirla alla W. Benjamin) i più inveterati e
ricorrenti atteggiamenti della nostra intellighenzia, tale da farne una
tradizione che arriva sino ad oggi, avrebbe posizionato con maggior nettezza la
figura di Leone Ginzburg, per questo la riflessione di Gramsci (ma anche le
precedenti di Labriola) sono imprescindibili. E Gramsci non è stato solo il più
importante intellettuale del nostro novecento, è stato in primis un militante
politico, un militante che organizzava la resistenza al fascismo, e come
Gobetti, proprio per questo ha pagato, in un crescendo di sofferenze non solo
fisiche, con la vita.
E l’errore di Julien Benda, parlando del tradimento
dei chierici, non riguarda il loro “schierarsi” politicamente ma riguarda la
loro continua acquiescenza all’ideologia dominante di turno.
Nei Quaderni del carcere, Gramsci, parla di un ceto
sociale contraddistinto da inveterato ‘trasformismo’, da superficialità di
pensiero, da mancanza di carattere; un’intellighenzia segnata dalla
Controriforma, nonché dal moderatismo ottocentesco (in cui finivano a cadere
anche i più arrabbiati “radicali”), con la consuetudine della diffusione e
riciclaggio di brandelli dell’ideologia dominante, in realtà mode ormai scadute
all’estero, supportate da grandi dosi di labilità e meschinità intellettuale.
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