copertina della pubblicazione |
Pubblichiamo uno stralcio della relazione tenutasi in occasione della presentazione della
pubblicazione "Renato Tisato la storia e la memoria", realizzata dalla sezione Onorina Pesce.
La pubblicazione patrocinata dall’ANPI Verona, ripercorre con documenti inediti
la storia di Renato Tisato, gappista di Verona, compagno della Medaglia d’oro
Lorenzo Fava, comandante della Brigata Verona Libera, dal dopoguerra fino alla
morte professore di pedagogia presso alcuni istituti superiori e poi presso
l’università di Pavia.
Come
ufficiale dell’esercito di liberazione nazionale, Tisato assunse su sé,
nell’assemblea dei Comandanti della zona pianura, la responsabilità politica,
civile e penale del giudicare quali tra gli esponenti e gerarchi della RSI
catturati a Verona nei giorni della Liberazione si fossero macchiati di tali
delitti e di tali efferatezze da essere condannati alla pena capitale, eseguita
il primo maggio ’45. Per questa “azione di guerra” [ perché tale fu ] fu
oggetto di una inchiesta formale, notificatagli dal Distretto Militare di
Verona nel 1957, anno buio nel buio periodo della scelta filo atlantica del
nostro Paese, della guerra fredda e della contestuale repressione anti
partigiana ed anticomunista.
Almeno
due ragioni che ci hanno motivato all’indagine sulla sua figura.
La
prima ci viene indirettamente suggerita dagli studi di Claudio Pavone che
individua nell’enfasi retorica, nello sfavillio delle fanfare, nel garrire dei
tricolori, nell’annacquamento della Resistenza interpretata come prosecuzione
della lotta risorgimentale il modo peggiore di ricordare i venti mesi di lotta
per la libertà, che furono piuttosto, almeno in parte, la resa dei conti,
solcata da suggestioni rivoluzionarie, della lotta di classe vinta dalla
reazione fascista negli anni ’20.
Da
questo punto di vista Tisato è una figura emblematica.
Tranne
che confidarsi in qualche raro momento con pochi amici, Tisato osservò un quasi
totale silenzio sulla sua partecipazione alla lotta resistenziale.
La
sua “afasia”, la sua totale assenza di vanto, il suo “pudore” nel tenere celata
agli occhi del mondo la sua scelta ci hanno profondamente colpito.
E
in qualche misura ci hanno convinto che forse a “tradire” la Resistenza è stato
ed è proprio l’eccesso di oratoria che ne ha contagiato le commemorazioni,
insieme all’enfatica convinzione che in tutto il Paese “tutti” fossero stati
partigiani e “tutti” avessero una stessa legittimità di rivendicare il sangue
dei morti partigiani, di condividere il dolore dei fucilati e dei torturati al
punto di dissolverlo in una generica pietà per i defunti che comprende vittime
e aguzzini, assolve i carnefici, annulla ogni differenza tra uomini in camicia
nera e uomini senza divisa di un esercito senza stellette nato dalla
consapevole rottura con gli orpelli del Regio Esercito, che, tranne rari casi e
gloriose storie individuali, come quella della Divisione Acqui o quella di
Pompeo Colayanni che da ufficiale dell’esercito si fece comandante partigiano,
si liquefece all’otto settembre.
Tace,
dunque, Renato Tisato.
Tace
perché l’Italia del dopoguerra ha posto in essere una fortissima restaurazione
moderata e filo atlantica, ha mancato la scelta radicale della rigorosa
epurazione e ha lasciato spazio ad una martellante persecuzione antipartigiana.
E
allora c’è ritegno a dire che si è stati partigiani e paura a dire che si è
stati partigiani comunisti.
Siamo
tra il finire degli anni ’40 e gli anni ’50.
Sono
gli anni di Scelba, delle madonne piangenti recate in processione nella
campagna elettorale del ’48, del piano Marschall, della riorganizzazione
fascista nel MSI, della guerra fredda, sono gli anni in cui, al bivio tra
rinnovamenti radicali e ripristino di vecchi apparati, l’Italia privilegia la
seconda ipotesi, polverizzando la radicalità della eredità partigiana.
Renato
Tisato, gappista e comunista, tace e tace perché la desiderata, sognata,
auspicata discontinuità tra dittatura e democrazia è stata
“tradita” [come sostiene GL già a fine aprile ’45, scrivendo in
un proprio foglio “ “sentiamo attorno a
noi il sapore delle parate, della retorica, dei grossi affari. Se potessimo
leggere nel cuore di molti generali, prefetti, industriali vi leggeremmo la parola:
fascismo”],
“attutita” dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero per sempre
uscire di scena quali Azzariti, già presidente del tribunale della razza e
viceversa insignito di un incarico prestigioso alla presidenza della corte
costituzionale,
“ammortizzata” a tale punto da indurre Sandro Pertini a scrivere “ l’epurazione è mancata. Si era detto che
si doveva colpire in alto e non in basso ma nella pratica non si è colpito né
in alto né in basso…”
Mentre
la Francia libera fucila 10.500 collaborazionisti, per due terzi senza condanna
formale, e celebra 170.000 processi contro circa 125.000 imputati, mentre la
Norvegia arresta per filo nazismo 90.000 persone su 3 milioni di abitanti,
mentre in Belgio si compiono 87.000 processi che portano ad oltre 1000 pene
capitali e l’Olanda compie 135.000 arresti, in Italia dove pure il fascismo era
nato non accade niente di tutto questo.
Renato
Tisato tace perché nel dicembre 1952 vengono prosciolti ( alcuni per amnistia
altri per non avere commesso il fatto ) comandanti e quadri della XXXVI Brigata
Nera Mussolini già condannati all’ergastolo nel novembre 1945 (cit. Franzinelli
una odissea partigiana).
Tace
perché, mentre pesci grandi e pesci piccoli della dittatura escono in massa
dalle patrie galere, la repubblica processa il partigiano biellese Francesco
Moranino.
Tace
perché i tribunali italiani non esitano ad utilizzare come prova i verbali
redatti dalla GNR, struttura portante della RSI.
Tace
perché a Castelfranco Emilia il maresciallo Silvestro Cau diventa famoso per
dirigere le proprie indagini contro ex partigiani con l’impiego di mezzi di
tortura.
Tace
perché già nel ’48 avvocati ed antifascisti si sono visti costretti a
costituirsi in Comitati di Solidarietà democratica a difesa dei partigiani
inquisiti, arrestati e processati come criminali comuni, là dove il
misconoscimento della legittima belligeranza rappresenta l’antefatto giuridico
per la perseguibilità penale delle azioni resistenti.
Questa
è, forse, la ragione del prolungato silenzio di Tisato e in questo contesto è
maturato il procedimento intentato a suo carico dalla Repubblica.
…Verrà un giorno in cui dovremo
vergognarci di aver combattuto contro il fascismo. E costituirà colpa essere
stati in carcere e al confino per questo”, la citazione è ancora di Sandro Pertini.
Ci
terremmo che la pubblicazione “Renato Tisato-la storia e la memoria” della
sezione Onorina Pesce diventasse occasione di ragionamento sul dopo guerra,
approccio per meglio conoscere quello che è stato, radice di mali e di minacce
neo fasciste che attraversano ancora oggi le nostre strade, con un pensiero che
va già al 25 aprile 2016: perché non ricordare in quella data il 25 aprile
1946, i partigiani finiti sotto processo per azioni di guerra, i combattenti
come Tisato, umiliati dalla Repubblica per la quale avevano preso le armi, i
cittadini antifascisti cui venne fatto divieto, mentre il governo democristiano
scacciava dalla Prefettura di Milano Ettore Trojlo, già comandante dei
partigiani della Mayella, di manifestare e di rendere omaggio ai propri morti
fucilati dalla Muti a Piazzale Loreto?
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