La riforma della
Costituzione e la nuova legge elettorale, se non vincesse il no, determineranno
un forte irrigidimento del potere in capo a pochi e a Roma. Già le condizioni
di vita di tutti dipendono molto da quanto si decide in sedi europee ampiamente
irresponsabili verso i popoli e dai capricci dei mercati finanziari.
Di
democrazia ne respiriamo poca e non vale la pena di rinunciare a quel che
abbiamo in nome della falsa governabilità promessa dalla riforma Boschi e
dall’Italicum. L’una e l’altro insieme renderanno più facile vincere ma non
governare. Per vincere tutto, o quasi, al Pd basterà mettersi d’accordo
preventivamente con Verdini e simili, ma poi i Verdini chiederanno il conto. Le
riforme forse ridurranno gli inciuci, non il trasformismo. Inoltre, se si legge
bene l’art. 70 della Boschi, il nuovo Senato, se volesse, potrebbe ostacolare
non poco l’attività legislativa della Camera. Infatti, dalla cabala della sua
irrazionale composizione, potrebbe benissimo emergere una maggioranza diversa
da quella della Camera.
La riforma costituzionale, faute de mieux, viene difesa o, meglio,
propagandata come occasione per ridurre i costi della politica. A parte che
l’argomento dei supposti eccessivi costi della democrazia è tipicamente un
mantra del populismo, per ridurre gli emolumenti dei politici esistono da
sempre strade molto più facilmente praticabili, dalle leggi ordinarie del
Parlamento alle decisioni delle assemblee territoriali alle decisioni
individuali o di gruppo. Se gli aderenti ad un determinato partito, per esempio
il Pd, ritengono che si spenda troppo in stipendi alla casta incomincino a
ridursi i propri. Bastano due righe agli uffici competenti. Oppure, allo stesso
fine, perché non remunerare in parte i decisori pubblici con Buoni del tesoro a
10 o 20 anni? Sarebbero una sorta di stock
option che manterrebbe il suo valore se il Paese fosse ben governato.
La riforma Boschi è presentata
come soluzione ai guasti della riforma del Titolo V del 2001. Non
sorprendentemente in Italia, tra gli entusiasti della nuova riforma vedo molti
autori della riforma del 2001, che invece ritengo buona, pur meritevole di
qualche correzione, perché nettamente autonomista. Comunque sia per il passato,
i principali problemi dei governi territoriali italiani sono costituiti dalle
dimensioni (si pensi per esempio alle Regione Molise con abitanti pari a 2/3
della Provincia di Pavia) e dalle autonomie speciali, cioè dalle Regioni a
statuto speciale come la Sicilia. Entrambi questi problemi non sono affrontati
o, meglio, il secondo è aggravato. Infatti si toglie autonomia alle Regioni
normali e non si raddrizza nessuna stortura della specialità. Con la Boschi la
differenza tra le Regioni di un tipo e dell’altro aumenta.
Si dirà che, in compenso, avremo
il Senato dei territori (che comunque, a dispetto delle esigenze di
semplificazione dell’ordinamento, non è destinato a sostituire il “sistema
delle Conferenze“ che raggruppa di quando in quando Stato, Regioni e Città). E’
molto improbabile che attraverso questa via avremo maggiore autodeterminazione
locale sia perché il nuovo Senato sarà di dopolavoristi (consiglieri regionali
e sindaci per il tempo del loro mandato amministrativo), sia perché proprio
sulla materia più delicata, quella dei finanziamenti, il Senato non metterà lingua
(se non in via eventuale). Specificamente gli artt. 70 e 117 sottolineano che
sono statali, e soltanto della Camera, le questioni di fondamentale importanza
relative a “coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario” e
“perequazione delle risorse finanziarie”.
Dunque, da un lato abbiamo la
Carta vigente, approvata dal 90% dei costituenti (eletti con il proporzionale),
che non ci ha impedito di diventare un Paese prospero (anche se troppo
diseguale in contrasto proprio con i valori costituzionali) e che
sostanzialmente ci ha consentito di convivere anche in presenza di punti di
vista, di destra e di sinistra, molto polarizzati. D’altro lato, abbiamo una
riforma centralista approvata a stretta maggioranza che, in futuro, potrà
sempre essere sfruttata da qualche sconsiderato per stravolgere il potere a suo
vantaggio. Ce n’è più che abbastanza per convincerci per il no e per preparare
un largo schieramento favorevole ad una riforma seria, basata sul superamento
vero del Senato, non meno che su un complesso di limiti al potere e in
particolare al potere centralista.
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