mercoledì 23 marzo 2016

CONGRESSO PROV. : LEGALITA' COME ISTANZA ETICA



Pubblichiamo l'intervento svolto al Congresso Provinciale ANPI (19-20 marzo) da LUCA CASAROTTI a nome della sezione Onorina Pesce Brambilla

Care compagne e cari compagni,

la gioia con cui intervengo a questo congresso è pari solo ad un certo timore reverenziale: sono infatti il più giovane delegato a prendere oggi la parola; compirò in aprile i ventisette anni. Allo stesso tempo, ecco il motivo di gioia, spero che questo mio piccolo contributo vada nel senso dell’apertura dell’ANPI ai giovani più volte evocata sia nel documento congressuale sia negli interventi di chi mi ha preceduto.Vorrei per prima cosa fermare l’attenzione su una delle parole chiave sottese proprio al documento congressuale che stiamo discutendo: il termine “legalità”. E vorrei farlo
portando nel dibattito il punto di vista che mi è più familiare: quello degli studi giuridici. È costante l’invito della parte più viva e avanzata della dottrina e della giurisprudenza a non rinunciare, in nome del principio di legalità, ad un vaglio critico delle regole. Critica del diritto si intitolava un’autorevole rivista pubblicata alla metà degli anni ’70 del secolo scorso, la cui redazione era composta da filosofi, politologi e giuristi: tra questi ultimi, è doveroso ricordare il nome di Emilio Alessandrini. Un altro esempio:  alla critica del diritto privato è dedicata una delle pubblicazioni animate da Stefano Rodotà, al cui pensiero credo molte e molti di noi si sentano affini.

La legalità diventa un valore quando la si intende come il piacere del darsi una regola, e come la consapevolezza che in ciò consiste il momento fondativo di una communitas. Diventa un disvalore quando ci si rassegna al fatto della esistenza di una regola e la si rispetta sol perché è tale. L’ANPI, in ragione del connotato valoriale che la costituisce, nel declinare il sostantivo “legalità” non deve rinunciare all’istanza etica in cui si sostanzia l’accettazione, partigiana e non formale, delle regole.Allontanandomi dalle questioni giuridiche, vorrei ora spendere qualche parola sul tema delle nuove destre in Italia. L’intervento di Marco Sannella ha mostrato la necessità di svolgere la nostra analisi in una prospettiva internazionale, che non può permettersi di tralasciare gli squilibri e le catene causali determinanti la crisi. In questa prospettiva deve collocarsi l’inchiesta sui neofascismi attuali. larga parte degli studi sulle destre radicali condotti in Italia assume un punto di vista italocentrico o al più eurocentrico: indaga cioè il panorama dell’estrema destra avendo riguardo alla storia politica dell’Italia o dell’Europa occidentale. In un mondo “multipolare”, com’è stato definito, occorre allargare i confini classici dell’indagine (alcuni autori hanno cominciato a farlo con successo), e considerare le differenti posizioni delle destre italiane anche rispetto alla situazione di altre parti del mondo: pensiamo alla generale fascinazione per la figura di Vladimir Putin, o alle divergenze tra i gruppi della destra neofascista nel conflitto ucraino, o ancora al prepotente riemergere, sul confine orientale, di pulsioni antislave di matrice etnica. Oppure pensiamo al fenomeno del “rossobrunismo”, cioè il riciclo da parte dell’estrema destra, in chiave reazionaria e nazionalista, d’un frasario e d’una simbologia di sinistra. Fenomeno tutt’altro che nuovo (rimonta almeno agli anni ’60 del XX secolo), ma ora fattosi più sfumato e difficile da decifrare, nel quadro del richiamato assetto “multipolare”.

Su questi temi, la sezione ANPI Pavia centro – Onorina Pesce Brambilla, insieme al Coordinamento per il diritto allo studio – UDU, il 14 marzo 2015 ha organizzato un convegno che, perdonatemi il vezzo accademico, ho avuto il piacere di presiedere [leggi qui la relazione di Leonardo Bianchi, giornalista di Vice Italia, e qui quella di Simone Pieranni, giornalista del Manifesto].Si tratta insomma di evitare il riduzionismo che è proprio delle “idee senza parole” di cui parlava il mitologo Furio Jesi, ravvisando in esse il tratto distintivo della “Cultura di destra” (titolo di un suo libro del 1979). E si tratta soprattutto di saper riconoscere il fascismo ovunque alligni, senza farsi ingannare da denominazioni e stratagemmi retorici, come raccomandava di fare Umberto Eco, che aveva a tal fine stilato quattordici regole per scovare il fascismo eterno  (lui lo chiamava “ur-fascismo”). Con la speranza, già sottolineata con forza da Annalisa Alessio, che la militanza sia, spinozianamente, una forma di buona vita, vi ringrazio per l’attenzione.

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